sabato 23 novembre 2019

PENSIERI-1: Non si può fotografare un processo di introspezione

Edward Hopper , Tavola Calda (1927)

LA RELAZIONE TRA LE “NOSTRE” FOTOGRAFIE SU FACEBOOK E LA FILOSOFIA DEL NOSTRO VIAGGIO. NON SI PUO’ FOTOGRAFARE UN PROCESSO DI INTROSPEZIONE. 


Nella Prefazione de Il nostro canto libero  memorie di viaggio, descrivo cosí la filosofia del viaggio:

“ - Signore e Signori, benvenuti sul palcoscenico dell’Utopia. Date un’occhiata intorno. La platea è deserta. Siete disposti a recitare senza un pubblico che vi applauda?  -

Di questo, si deve aver preso coscienza prima della partenza: ci si deve, cioè, essere già liberati dalla gratificazione dell’applauso, dell’ammirazione, del consenso altrui, della fama. 
Si è soli, in compagnia dell’incertezza, ma anche del fascino e della libertà di immergersi in possibilità non pianificate di esperienza, più aleatorie e fragili, è vero, ma dove spesso desiderio, stupore e ricerca assumono inusitata intensità, diventando forieri di cambiamento.”

Dopo questa premessa, ci si domanderà quel è il rapporto tra lo stralcio di filosofia di vita delineata sopra e i nostri post su facebook. “Recitare senza un pubblico che applauda”, nel corso del viaggio, significava, tra le altre cose, rinunciare a scattare fotografie con il solo scopo di mostrarle nel corso di uno sporadico ritorno a casa (allora non c’era facebook). Perché? Perché non solo si correva il rischio reale di fare il viaggio in funzione di un “servizio fotografico”, ma, ancor più controproducente, inframezzare il viaggio con continue interruzioni che portano il viaggiatore a distrarsi da quello che ha davanti agli occhi, interrompendo, nel nostro caso specifico, il flusso armonico di quello che, fin dalla partenza, avevamo inteso non come un viaggio convenzionale ma come un vero e proprio viaggio/vita; dove la metafora “il viaggio della vita”, nel corso degli anni di viaggio, aveva perduto completamente il suo valore di metafora per diventare realtà letterale. In effetti, chi vive veramente il viaggio, e quindi il momento presente, non ha bisogno di fotografie da mostrare: gli bastano gli occhi. Anche perché i suoi interessi sono rivolti altrove: piuttosto che all’esterno, verso l’interno di se stesso, verso una ripulitura dell’ io dai condizionamenti, dalle paure e dai pregiudizi che un raffronto con le culture che si attraversano mette anche troppo bene a nudo. Non si può fotografare un processo di introspezione, che è ciò che veramente conta in qualsiasi tipo di viaggio. Per questo si può dire che il viaggio, in fondo... sei tu. E, se decidi di descriverlo, non cedere alla tentazione del principiante, cioè di descrivere le emozioni che hai provato, ma le situazioni reali che hai vissuto, le quali, attraverso una descrizione il più oggettiva possibile, avranno il potere di suscitare emozioni diverse in lettori diversi. Altrimenti, come scrittore, non avrai capito che il lettore, quando legge un libro (o vede una foto) proietta se stesso al punto tale che finisce per “leggere se stesso”.

Chiarito questo, l’aver scattato relativamente poche fotografie (solo qualche centinaia in 44 anni) e solo per noi, (salvo poi non aprire per anni i raccoglitori per rivederle), si traduce in una manifestazione di coerenza con la nostra filosofia di vita. Ma adesso, dopo aver deciso che forse valga la pena far conoscere questa filosofia di vita/viaggio attraverso la serie di libri intitolata Cittadini del Mondo (di cui Europa Edizioni ha recentemente pubblicato il primo “Il nostro canto libero, memorie di viaggio”), e dopo aver scelto un mezzo di condivisione e diffusione come facebook, ci troviamo, ironicamente, ad aver bisogno di fotografie. Senza foto non c’è post che tenga. E allora? La soluzione di compromesso che abbiamo scelto è quella di utilizzare fotografie altrui pubblicate nella web (dando il dovuto credito al fotografo nei casi in cui siano vincolate dal copyright) e, dove possibile, infilarci alcune delle nostre, che, badate bene, sono principalmente fotografie rifotografate da cartacee, quelle sopravvissute all’umidità e alle intemperie climatiche - che ci siamo portati dietro per decine di anni in autocaravan e in barca - e per di più, rifotografate da una barca a vela alla fonda che non è mai completamente ferma! (chiediamo scusa in anticipo per la cattiva qualità di alcune di quelle foto). Solo le foto recenti sono state scattate con una macchina digitale. Questo è dunque il metodo che utilizzeremo nei nostri post: Dato che il libro comporta la descrizione di avventure, disavventure e interazioni con la gente locale, ma soprattutto interazioni con noi stessi e tra di noi, piuttosto che descrizioni di luoghi e monumenti (a meno che questi non siano strettamente funzionali alle storie), abbiamo pensato di accompagnare (nel nostro blog) i racconti inediti della serie Cittadini del mondo con fotografie che diano un’idea dei luoghi in cui sono ambientate. La maggior parte dei post su facebook, comunque, non sarà legata ai racconti del libro ma potete stare certi che tutte le foto illustrano paesaggi, monumenti e musei che abbiamo visto di persona e nei quali, spesso abbiamo passato giorni e giorni, se non mesi, con l’andatura tipica della tartaruga che si porta dietro la propria casa. Che senso ha imbarcarsi in un viaggio che, invece di diluire i ritmi forsennati della vita nella società di origine, diventa un insulto al “concetto di tempo”, raddoppiandone i ritmi, per vedere tutto e poi produrre un sicuro effetto di saturazione e di stanchezza? Si può facilmente capire come un viaggio simile non lo si faccia per amore al viaggio, ma per scopi predeterminati. Una domanda per i viaggiatori temporanei. Avreste fatto lo stesso”quel viaggio” se vi fosse stato proibito (è solo un modo di dire) di mostrare le foto al ritorno? Siate sinceri.

Fabrizio Accorsi

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