giovedì 19 dicembre 2019

CITTADINI DEL MONDO N° 5 Il segreto di Don Chano, Rio Dulce - Guatemala

Don Chano

  IL SEGRETO DI DON CHANO, Rio Dulce, Guatemala

Questo racconto,  ambientato in un gazebo sul fiume Rio Dulce, è separato geograficamente di mezzo chilometro dal nostro ancoraggio attuale, e, temporalmente, da almeno 4 anni.

Persona localmente molto conosciuta e amata, Don Chiano è deceduto l’anno scorso, il suo feretro  accompagnato da un corteo funebre senza precedenti.

In un Paese privo di assistenza sociale è significativo che il Comune abbia eccezionalmente fornito la bara e una colletta di amici abbia provveduto all’acquisto del cibo e delle bevande che ogni rito funebre tradizionalmente comporta.

Dato il riferimento iniziale al suo analfabetismo, consiglio di leggere la storia subito dopo quella precedente intitolata “Un senzatetto” (americano). 

Non ho mai visto Don Chano (pron. Ciano) leggere un tascabile. Né una rivista. E nemmeno un giornale. Don Chano non sa leggere.

Senzatetto a sessantanove anni, ha altre preoccupazioni per la testa che imparare a leggere: per menzionarne anche solo una, la prima che viene in mente è sopravvivenza. E, malgrado ciò, possiede una mente ricettiva...

Un giorno, quando la mia empatia e l’apprezzamento delle sue buone qualità dovevano aver raggiunto un ennesimo picco verso l’alto, mentre mi trovavo nel gazebo di Miriam di fronte a questo emaciato rappresentante della terza età – strabico, ma praticamente con un occhio solo, tutto pelle e ossa – il quale aiutava il suo incedere con un bastone, un innocuo ubriacone che aveva imparato la rara maestria di rispettare le opinioni e i sentimenti altrui, per la prima volta nella vita fui colto da una tentazione... la tentazione di insegnare a un analfabeta di questo Paese le nozioni elementari della sua lingua madre: un bel sogno per entrambi. Che cosa mi risvegliò da questo sogno a occhi aperti? La paura. Una paura capace di paralizzarmi in una permanente vigliaccheria che risorgeva, ogni volta, al solo pensiero. E così, il sogno rimase solo un bel sogno.

Clienti del gazebo
Don Chano ha un suo modo particolare di chiedere soldi: “Papito (diminutivo affettivo di ‘papa’)” incominciava spesso, con uno sguardo di genuina sofferenza dentro gli occhi, anzi, l’occhio: la sofferenza della fame. “Potrebbe avanzare qualcosa per mangiare?” quasi implorava dopo essersi seduto su una sedia del gazebo, riprendendo fiato e appoggiando il peso del corpo contro il manico arcuato del bastone che stringeva con entrambe le mani.

Possibile avesse dimenticato che io non portavo denaro con me? No, era troppo intelligente per dimenticare un’informazione per lui tanto cruciale. Arrivai alla conclusione che volesse ricordarmi di avvertire Patrizia, al suo arrivo dalle compere quotidiane.

In effetti, appena Patrizia aveva posato sul pavimento le borse della spesa, ogni volta, la prima cosa che le sollecitavo era: “Vedi se abbiamo qualche spicciolo per lui”. Ma era sempre molto più di spiccioli.

“Per il pranzo, vero?” Patrizia faceva la domanda come per rassicurarsi, mentre gli porgeva i soldi. L’implicazione era: Per il cibo, non per l’alcol.

Lui capiva perfettamente. Anzi, sospettava un messaggio nascosto anche quando non ce n’era l’intenzione o il suggerimento da parte di Patrizia.

“No, no, è davvero solo per il cibo.”

“Bene! Limiti il venado, se vuole conquistarsi la riconoscenza delle sue gambe. Peggiorano con l’alcol, sa.” Patrizia faceva eco alle sue frequenti lamentele di dolori agli arti inferiori.

Il porticciolo da dentro il gazebo
“Salti un giorno o due ogni tanto. Aiuterà la circolazione del sangue” gli dicevo a volte con poca convinzione. Se c’era una cosa che odiavo era interferire con gli affari altrui, anche nei casi che avrebbero potuto concretizzarsi in un miglioramento della salute. In fondo non sono un medico...

Rivolgendoci uno sguardo consapevole, diceva: “Niente venado oggi. Le gambe mi fanno troppo male.”

Di tanto in tanto, mi consultavo con Miriam e le chiedevo se lei sapeva. Mi sorpresi di apprendere che Don Chano, saltuariamente, avesse mostrato la forza di volontà di rinunciare all’alcol per un paio di giorni. Questo accadeva quando, come stavolta, si spaventava per i dolori lancinanti.

Un altro giorno, mentre entrava nel gazebo, notai che sembrava uscito dalle mani di un sarto.

“Stamattina è proprio elegante, Don Chano” gli dissi, “con quella maglietta polo.” Riuscivo, di solito, a strappargli un mezzo sorriso.

“E i pantaloni nuovi. E le scarpe nuove! Accidenti, hanno un aspetto costoso! Mi faccia vedere... Se non fossero troppo piccole per me, Le chiederei se vuole scambiarle con le mie infradito di plastica” lo canzonavo bonariamente.

Lui si metteva a ridere, esibendo i pochi denti cariati e scuri per il fumo, ma si ricomponeva subito rispondendo serio serio: “Tutti regali di persone diverse...”

La gente di Rio Dulce vuole bene a Don Chano. Alcuni proprietari di negozi di abbigliamento, e a volte anche di calzature, lo aiutano con qualche articolo gratuito e, di tanto in tanto, venditori di cibo gli regalano un pasto.

Don Chano è una persona speciale. È uno di quei rari alcolizzati che non sembrano mai ubriachi. Mai, nemmeno una volta, l’ho visto camminare, agire o parlare come un ubriaco. È sempre pensieroso e riflessivo. Si direbbe, senz’ombra di ironia, una persona che prende la vita sul serio.

Non gli ho mai domandato dove dorme la notte. Probabilmente sotto un portico, all’aria aperta: il dolce clima tropicale, qui al livello del mare, lo consente durante la maggior parte dell’anno. A volte rispondeva alla mia domanda “Come si sente oggi, Don Chano?” con: “Non troppo bene. Non ho dormito la notte passata.” E rimboccando i pantaloni sopra il ginocchio, mi mostrava le scarne gambe, disseminate di brutte punture di zanzara già in parte infettate.

“Si spalmi sopra questa” gli suggerì una volta Patrizia, porgendogli un tubo già iniziato di crema antisettica. “Allevierà un po’ il dolore.” Patrizia aveva previsto problemi con le zanzare anche per Don Chano in quel periodo dell’anno, perché, eccezionalmente, anche noi avevamo avuto delle zanzare in barca e lei da un paio di giorni si portava dietro il tubetto in borsa, nella speranza di incontrarlo.

Molo dal quale Don Chano pescava
“Grazie mamita. Dio la ripagherà” diceva con un accento strascicato e lo sguardo pieno di gratitudine, mentre cominciava a spalmarsi la crema sulle ferite.

“La tenga per la prossima volta.”

Credo di sapere perché la gente dona così volentieri a Don Chano: senza dubbio, è per il suo atteggiamento. In effetti, lui è il solo mendicante del vicinato che, quando chiede dei soldi, dà la chiara impressione che il denaro non gli sia automaticamente dovuto. Questo lo distingue dagli altri indigenti e predispone a essere generosi. Per contro, alcuni di loro, apparentemente offesi da un rifiuto, si arrabbiano o fanno finta di arrabbiarsi. Alcuni arrivano a maledire. Ne ho visto uno prendere a bastonate il bancone di un negozio di alimentari e un altro, a cui era stata rifiutata l’elemosina da un passante, prendersela con i nostri cani che si trovavano lì vicino.

Lui è diverso. Quando non gli si dà denaro, sembra capire e non si arrabbia mai. Mai un gesto di delusione o di stizza. È un’anima altruista per natura o il tempo e l’esperienza gli hanno insegnato a diventarlo?

Negli ultimi mesi entrava nel gazebo con passo incerto, senza nemmeno salutare i cani. Questo era un campanello d’allarme sul suo stato di salute. Tutte le altre volte, prima di salire i due gradini di legno dal pontile al gazebo e sedersi su una sedia o una panca, si metteva prima a giocare con Tack, la nostra cagna più giovane, provocandola con il bastone. Le prime volte Tack gli aveva abbaiato furiosamente, ma lui non si era lasciato intimorire. Col tempo, si era abituata al gioco e aveva cominciato addirittura ad andargli incontro sul pontile, scodinzolando, quando lo vedeva arrivare. Adesso non gli abbaiava più. Gli dava soltanto un “bof, bof” in chiave ridotta, che Don Chano aveva imparato ad anticipare ogni volta, imitandone il suono, con intenzione canzonatoria. Come era commovente vederlo provar piacere in compagnia del cane e dimenticare per un po’ le sue preoccupazioni! Come era bello vederlo aprire la bocca sdentata nel più ampio, più spontaneo e disteso sorriso di cui era capace! Questo era davvero un momento speciale per lui e, di rimando, lo era diventato anche per noi. Sono convinto che quello che provava dentro era un assaggio di felicità, di quella felicità che la vita gli aveva negato.

Negli ultimi tempi, giocava con Tack sempre meno. Ciò poteva voler dire soltanto una cosa: Don Chano non stava bene. Una volta, in preda allo sconforto, mi confessò: “Papito, va male. Le gambe non mi reggono. Sento che non camperò molto...”

“Ma che sciocchezze sta dicendo, Don Chano, con tutto rispetto” rispondevo. “È uno scherzo, vero?” lo rimproveravo per distogliere la sua mente dai pensieri negativi. “È solo una fase passeggera. E si ricordi, non è ancora tempo che se ne vada. E sa perché?” Adesso sì che ero riuscito ad accattivarmi la sua completa attenzione. Si fermò impalato, sorretto dal bastone, con gli occhi spalancati. In quegli occhi c’era, non solo curiosità, ma anche aspettativa.

“Perché non può andarsene senza il mio permesso. E, sinceramente, non sono disposto a darglielo!”

Non era abituato a questo genere di umorismo. E tuttavia, la sua reazione fu immediata. Mostrò subito le gengive in un sorriso spontaneo e caloroso. Sembrava piacevolmente sorpreso, come se avesse ricevuto un gran regalo.

“Grazie papito” disse con un’espressione pulita, piena di gratitudine. Ero riuscito a prolungargli la vita? Almeno sotto il profilo psicologico, sì.

“Forse non gliel’ho mai detto, ma ho delle buone conoscenze lassù. Mi porto sempre dietro il cellulare, ma sinora non ci sono state chiamate, nemmeno tra quelle perdute. Perciò, stia tranquillo” ironizzai rassicurandolo.

Questo sortì l’effetto di tranquillizzarlo oltre le mie più rosee aspettative. Sentiva che mi importava e me n’era riconoscente.

Nel gazebo
Una volta, entrando nel gazebo, intuii dal suo atteggiamento che doveva avere qualcosa per la testa. Rivolgendosi prima a Patrizia, esordì in tono confuso: “Ieri ho fatto un check up nell’ambulatorio pubblico e mi hanno detto che ho bisogno di una cura di vitamina B. Mi farebbe bene la vitamina B?”

“Aiuterebbe molto i suoi problemi muscolari, sì. E dovrebbe migliorare l’appetito” rispose Patrizia. Poi mi lanciò un’occhiata d’intesa, che ricambiai con un cenno di assenso del capo.

“Don Chano” azzardò Patrizia, “non ha problemi con le iniezioni?”

Quando rispose di no, pensai che era più coraggioso della stragrande maggioranza degli uomini guatemaltechi.

“Bene, allora. Le regaliamo noi il trattamento. Mi faccia controllare con la farmacia.”

“Va bene se cominciamo domani?” chiese, forse non sentendosi del tutto pulito.

“Va benissimo. È lo stesso. Vado subito in farmacia per mettermi d’accordo per domani.”

Patrizia si recò in farmacia, pagò per i dieci giorni di trattamento e concluse confermando che avrebbe accompagnato il paziente il mattino seguente.

L’indomani, appena la farmacista vide Don Chano, che pure era nuovo di zecca, dichiarò secca: “Non facciamo iniezioni a quella gente.”

Patrizia mi confessò di essere rimasta scioccata e offesa, nonostante discriminazione e abuso in Guatemala siano all’ordine del giorno.

“E non le hai detto niente?”

“No, non volevo mortificare Don Chano” ammise. “Non ero sicura che avesse capito.”

“Io avrei tolto il crocifisso dalla parete della farmacia e glielo avrei dato sulla testa” sbottai, non riuscendo a reprimere l’indignazione che mi ribolliva dentro.

“Bravo, ci sarebbe mancata anche questa. Avresti evitato la prigione solo perché i presenti ti avrebbero gentilmente linciato prima dell’arrivo della Polizia” aggiunse Patrizia con un’osservazione sarcastica ma non priva di realismo.

Nel gazebo
“Era solo un modo di dire. Comunque lo staccare il crocefisso dalla parete non mi sembra un’idea tanto cattiva. Gliel’avrei messo sotto il naso e le avrei detto: Lei è una farisea. Si vergogni!” Mi ero sfogato.

Invece Patrizia non si sentì di discutere di fronte a Don Chano. Però non si perse nemmeno d’animo: dopo un istante di disorientamento, riuscì prima a ottenere un rimborso completo e poi a condurre Don Chano in una seconda farmacia. Stavolta tutto andò bene. Forse perché là non c’erano crocifissi appesi alle pareti. Don Chano ebbe la sua prima iniezione.

Il giorno seguente andò da solo.

Due giorni dopo entrò nel gazebo, con un gran sorriso sulle labbra: “Ho recuperato l’appetito!” dichiarò con aria trionfante. “Non mi capitava da anni. Le gambe vanno molto meglio!” Sembrava avere riacquistato anche il suo abituale buon umore.

Riuscì a completare la terapia. Sfoggiava, adesso, un aspetto decisamente migliore e un colorito roseo sulle guance, prima sempre pallide. Aveva perfino smesso di bere. Forse si sarebbe trattato di soli tre o quattro giorni, ma sarebbe stato comunque un risultato sorprendente.

Dopo l’ultima iniezione confessò titubante: “La farmacista ha detto che avrei bisogno di altri dieci giorni di trattamento... ma...”

“Va bene, nessun problema. Ci pensiamo noi.”

“Ma... però...” proseguì con un certo sforzo, “vorrei aspettare un po’. Ho male dappertutto” aggiunse, riferendosi ai buchi delle iniezioni sulle natiche. Io e Patrizia ci scambiammo un’occhiata complice.

“Va bene. Sì, effettivamente il liquido è un po’ doloroso. Ci avverta quando decide di ricominciare.”

Apparentemente, quest’occasione propizia non si presentò. Dopo un po’ avvertimmo la sensazione che la sua dipendenza dall’alcol stesse prendendo di nuovo il sopravvento.

La sua consapevolezza che bere durante il trattamento sarebbe stato controproducente era stata sbalorditiva. Aveva dimostrato forza d’animo e aveva superato la prova una volta, ma sapeva bene che un ulteriore sacrificio – che sottintendeva un tale impegno – si sarebbe dimostrato insormontabile. Aveva raggiunto quasi l’impossibile. Ora, aveva il diritto di andare avanti come meglio credesse.

Quasi ogni giorno, dalla barca alla fonda, andavamo a terra col dinghy e lo ormeggiavamo al pontile del gazebo. Un paio di volte la settimana trovavamo Don Chano seduto sul pontile, con le gambe penzolanti sopra l’acqua, e in mano una lenza e alcuni pezzetti di tortilla per esca posati accanto a un secchiello pieno d’acqua.

Mentre pescava era più taciturno del solito, forse perché aveva bisogno di concentrazione. La prima volta che lo vidi pescare un pesce e metterlo da parte nel secchielletto, fui colto da sorpresa. Pensai che lo avrebbe rigettato nel fiume, tanto era piccolo. Invece... Ma se quella moharra sarebbe stata appena sufficiente per il pasto di un gatto! Eppure era probabile che pescasse per farsi cucinare le sue prede da uno dei molti piccoli esercizi che si trovano a lato della strada.

La seconda moharra era delle stesse dimensioni: la mise da parte nel solito recipiente pieno d’acqua, con aria soddisfatta. C’erano giorni in cui smetteva di pescare dopo la prima, altri dopo la seconda. Non ci vedevo molto senso, ma mi astenni sempre dal soddisfare la mia curiosità perché intuivo nel suo comportamento qualcosa di sfuggevole, o meglio di personale, quasi intimo: del resto, non riuscivo a smettere di domandarmi come potesse nutrirsi di un pasto tanto frugale.

Una mattina, nella penombra del retrobottega di Miriam, dietro il banco dove lei ci permetteva di entrare per salutare i due pappagalli, i cani e la gatta, quasi inciampai in Bunghy, la gattina, che stava mangiucchiando qualcosa ai piedi del frigorifero delle bibite. Quando mi resi conto che si trattava di una piccolissima moharra, non mi ci volle molto a capire come era finita lì.

“Miriam, non dirmi che Don Chano...”

Miriam mi lanciò un’occhiata significativa, come se un segreto tra lei e Don Chano fosse improvvisamente venuto alla luce.

“So che cosa stai pensando. Che sia un omaggio di Don Chano. Ebbene... hai indovinato... lo è. Di tanto in tanto porta un pesciolino vivo a Bunghy. Sai, lei non mangia pesci morti! A lui non piace molto il pesce, così quando pesca, pesca per lei.”

Un pesciolino vivo! Ah, il gran cuore di Don Chano che, palpitando in silenzio, senza rendersene conto mi ha impartito una grande lezione di vita. Altro che le lezioni di spagnolo che volevo dargli io!


Don Chano

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