Don Chano |
IL SEGRETO DI DON CHANO, Rio Dulce, Guatemala
Questo racconto, ambientato in un gazebo sul fiume Rio Dulce, è separato geograficamente di mezzo chilometro dal nostro ancoraggio attuale, e, temporalmente, da almeno 4 anni.
Persona localmente molto conosciuta e amata, Don Chiano è deceduto l’anno scorso, il suo feretro accompagnato da un corteo funebre senza precedenti.
In un Paese privo di assistenza sociale è
significativo che il Comune abbia eccezionalmente fornito la bara e una
colletta di amici abbia provveduto all’acquisto del cibo e delle
bevande che ogni rito funebre tradizionalmente comporta.
Dato
il riferimento iniziale al suo analfabetismo, consiglio di leggere la
storia subito dopo quella precedente intitolata “Un senzatetto” (americano).
Non ho mai visto Don Chano (pron. Ciano) leggere
un tascabile. Né una rivista. E nemmeno un giornale. Don Chano non sa leggere.
Senzatetto a sessantanove anni, ha altre
preoccupazioni per la testa che imparare a leggere: per menzionarne anche solo una,
la prima che viene in mente è sopravvivenza.
E, malgrado ciò, possiede una mente ricettiva...
Un giorno, quando la mia empatia e l’apprezzamento
delle sue buone qualità dovevano aver raggiunto un ennesimo picco verso l’alto,
mentre mi trovavo nel gazebo di Miriam di fronte a questo emaciato
rappresentante della terza età – strabico, ma praticamente con un occhio solo,
tutto pelle e ossa – il quale aiutava il suo incedere con un bastone, un
innocuo ubriacone che aveva imparato la rara maestria di rispettare le opinioni
e i sentimenti altrui, per la prima volta nella vita fui colto da una
tentazione... la tentazione di insegnare a un analfabeta di questo Paese le
nozioni elementari della sua lingua madre: un bel sogno per entrambi. Che cosa
mi risvegliò da questo sogno a occhi aperti? La paura. Una paura capace di
paralizzarmi in una permanente vigliaccheria che risorgeva, ogni volta, al solo
pensiero. E così, il sogno rimase
solo un bel sogno.
Clienti del gazebo |
Possibile avesse dimenticato che io non portavo
denaro con me? No, era troppo intelligente per dimenticare un’informazione per lui
tanto cruciale. Arrivai alla conclusione che volesse ricordarmi di avvertire
Patrizia, al suo arrivo dalle compere quotidiane.
In effetti, appena Patrizia aveva posato sul
pavimento le borse della spesa, ogni volta, la prima cosa che le sollecitavo
era: “Vedi se abbiamo qualche spicciolo per lui”. Ma era sempre molto più di
spiccioli.
“Per il pranzo, vero?” Patrizia faceva la domanda
come per rassicurarsi, mentre gli porgeva i soldi. L’implicazione era: Per il cibo, non per l’alcol.
Lui capiva perfettamente. Anzi, sospettava un
messaggio nascosto anche quando non ce n’era l’intenzione o il suggerimento da
parte di Patrizia.
“No, no, è davvero solo per il cibo.”
“Bene! Limiti il venado, se vuole conquistarsi la riconoscenza delle sue gambe.
Peggiorano con l’alcol, sa.” Patrizia faceva eco alle sue frequenti lamentele
di dolori agli arti inferiori.
Il porticciolo da dentro il gazebo |
Rivolgendoci uno sguardo consapevole, diceva:
“Niente venado oggi. Le gambe mi
fanno troppo male.”
Di tanto in tanto, mi consultavo con Miriam e le
chiedevo se lei sapeva. Mi sorpresi di apprendere che Don Chano, saltuariamente,
avesse mostrato la forza di volontà di rinunciare all’alcol per un paio di
giorni. Questo accadeva quando, come stavolta, si spaventava per i dolori
lancinanti.
Un altro giorno, mentre entrava nel gazebo, notai
che sembrava uscito dalle mani di un sarto.
“Stamattina è proprio elegante, Don Chano” gli
dissi, “con quella maglietta polo.” Riuscivo, di solito, a strappargli un mezzo
sorriso.
“E i pantaloni nuovi. E le scarpe nuove!
Accidenti, hanno un aspetto costoso! Mi faccia vedere... Se non fossero troppo
piccole per me, Le chiederei se vuole scambiarle con le mie infradito di
plastica” lo canzonavo bonariamente.
Lui si metteva a ridere, esibendo i pochi denti
cariati e scuri per il fumo, ma si ricomponeva subito rispondendo serio serio:
“Tutti regali di persone diverse...”
La gente di Rio Dulce vuole bene a Don Chano.
Alcuni proprietari di negozi di abbigliamento, e a volte anche di calzature, lo
aiutano con qualche articolo gratuito e, di tanto in tanto, venditori di cibo
gli regalano un pasto.
Don Chano è una persona speciale. È uno di quei
rari alcolizzati che non sembrano mai ubriachi. Mai, nemmeno una volta, l’ho
visto camminare, agire o parlare come un ubriaco. È sempre pensieroso e
riflessivo. Si direbbe, senz’ombra di ironia, una persona che prende la vita
sul serio.
Non gli ho mai domandato dove dorme la notte.
Probabilmente sotto un portico, all’aria aperta: il dolce clima tropicale, qui
al livello del mare, lo consente durante la maggior parte dell’anno. A volte
rispondeva alla mia domanda “Come si sente oggi, Don Chano?” con: “Non troppo
bene. Non ho dormito la notte passata.” E rimboccando i pantaloni sopra il
ginocchio, mi mostrava le scarne gambe, disseminate di brutte punture di
zanzara già in parte infettate.
“Si spalmi sopra questa” gli suggerì una volta
Patrizia, porgendogli un tubo già iniziato di crema antisettica. “Allevierà un
po’ il dolore.” Patrizia aveva previsto problemi con le zanzare anche per Don
Chano in quel periodo dell’anno, perché, eccezionalmente, anche noi avevamo
avuto delle zanzare in barca e lei da un paio di giorni si portava dietro il
tubetto in borsa, nella speranza di incontrarlo.
Molo dal quale Don Chano pescava |
“La tenga per la prossima volta.”
Credo di sapere perché la gente dona così volentieri
a Don Chano: senza dubbio, è per il suo atteggiamento. In effetti, lui è il
solo mendicante del vicinato che, quando chiede dei soldi, dà la chiara
impressione che il denaro non gli sia automaticamente dovuto. Questo lo
distingue dagli altri indigenti e predispone a essere generosi. Per contro,
alcuni di loro, apparentemente offesi da un rifiuto, si arrabbiano o fanno
finta di arrabbiarsi. Alcuni arrivano a maledire. Ne ho visto uno prendere a
bastonate il bancone di un negozio di alimentari e un altro, a cui era stata
rifiutata l’elemosina da un passante, prendersela con i nostri cani che si
trovavano lì vicino.
Lui è diverso. Quando non gli si dà denaro,
sembra capire e non si arrabbia mai. Mai un gesto di delusione o di stizza. È
un’anima altruista per natura o il tempo e l’esperienza gli hanno insegnato a
diventarlo?
Negli ultimi mesi entrava nel gazebo con passo
incerto, senza nemmeno salutare i cani. Questo era un campanello d’allarme sul
suo stato di salute. Tutte le altre volte, prima di salire i due gradini di
legno dal pontile al gazebo e sedersi su una sedia o una panca, si metteva
prima a giocare con Tack, la nostra cagna più giovane, provocandola con il
bastone. Le prime volte Tack gli aveva abbaiato furiosamente, ma lui non si era
lasciato intimorire. Col tempo, si era abituata al gioco e aveva cominciato
addirittura ad andargli incontro sul pontile, scodinzolando, quando lo vedeva
arrivare. Adesso non gli abbaiava più. Gli dava soltanto un “bof, bof” in chiave ridotta, che Don
Chano aveva imparato ad anticipare ogni volta, imitandone il suono, con
intenzione canzonatoria. Come era commovente vederlo provar piacere in
compagnia del cane e dimenticare per un po’ le sue preoccupazioni! Come era
bello vederlo aprire la bocca sdentata nel più ampio, più spontaneo e disteso
sorriso di cui era capace! Questo era davvero un momento speciale per lui e, di
rimando, lo era diventato anche per noi. Sono convinto che quello che provava
dentro era un assaggio di felicità, di quella felicità che la vita gli aveva
negato.
Negli ultimi tempi, giocava con Tack sempre meno.
Ciò poteva voler dire soltanto una cosa: Don Chano non stava bene. Una volta,
in preda allo sconforto, mi confessò: “Papito, va male. Le gambe non mi
reggono. Sento che non camperò molto...”
“Ma che sciocchezze sta dicendo, Don Chano, con
tutto rispetto” rispondevo. “È uno scherzo, vero?” lo rimproveravo per
distogliere la sua mente dai pensieri negativi. “È solo una fase passeggera. E
si ricordi, non è ancora tempo che se ne vada. E sa perché?” Adesso sì che ero
riuscito ad accattivarmi la sua completa attenzione. Si fermò impalato,
sorretto dal bastone, con gli occhi spalancati. In quegli occhi c’era, non solo
curiosità, ma anche aspettativa.
“Perché non può andarsene senza il mio permesso.
E, sinceramente, non sono disposto a darglielo!”
Non era abituato a questo genere di umorismo. E
tuttavia, la sua reazione fu immediata. Mostrò subito le gengive in un sorriso
spontaneo e caloroso. Sembrava piacevolmente sorpreso, come se avesse ricevuto
un gran regalo.
“Grazie papito” disse con un’espressione pulita,
piena di gratitudine. Ero riuscito a prolungargli la vita? Almeno sotto il
profilo psicologico, sì.
“Forse non gliel’ho mai detto, ma ho delle buone
conoscenze lassù. Mi porto sempre dietro il cellulare, ma sinora non ci sono state
chiamate, nemmeno tra quelle perdute. Perciò, stia tranquillo” ironizzai
rassicurandolo.
Questo sortì l’effetto di tranquillizzarlo oltre
le mie più rosee aspettative. Sentiva che mi importava e me n’era riconoscente.
Nel gazebo |
“Aiuterebbe molto i suoi problemi muscolari, sì.
E dovrebbe migliorare l’appetito” rispose Patrizia. Poi mi lanciò un’occhiata
d’intesa, che ricambiai con un cenno di assenso del capo.
“Don Chano” azzardò Patrizia, “non ha problemi
con le iniezioni?”
Quando rispose di no, pensai che era più
coraggioso della stragrande maggioranza degli uomini guatemaltechi.
“Bene, allora. Le regaliamo noi il trattamento.
Mi faccia controllare con la farmacia.”
“Va bene se cominciamo domani?” chiese, forse non
sentendosi del tutto pulito.
“Va benissimo. È lo stesso. Vado subito in
farmacia per mettermi d’accordo per domani.”
Patrizia si recò in farmacia, pagò per i dieci
giorni di trattamento e concluse confermando che avrebbe accompagnato il
paziente il mattino seguente.
L’indomani, appena la farmacista vide Don Chano,
che pure era nuovo di zecca, dichiarò secca: “Non facciamo iniezioni a quella
gente.”
Patrizia mi confessò di essere rimasta scioccata
e offesa, nonostante discriminazione e abuso in Guatemala siano all’ordine del
giorno.
“E non le hai detto niente?”
“No, non volevo mortificare Don Chano” ammise.
“Non ero sicura che avesse capito.”
“Io avrei tolto il crocifisso dalla parete della
farmacia e glielo avrei dato sulla testa” sbottai, non riuscendo a reprimere
l’indignazione che mi ribolliva dentro.
“Bravo, ci sarebbe mancata anche questa. Avresti
evitato la prigione solo perché i presenti ti avrebbero gentilmente linciato
prima dell’arrivo della Polizia” aggiunse Patrizia con un’osservazione
sarcastica ma non priva di realismo.
Nel gazebo |
Invece Patrizia non si sentì di discutere di
fronte a Don Chano. Però non si perse nemmeno d’animo: dopo un istante di
disorientamento, riuscì prima a ottenere un rimborso completo e poi a condurre
Don Chano in una seconda farmacia. Stavolta tutto andò bene. Forse perché là non
c’erano crocifissi appesi alle pareti. Don Chano ebbe la sua prima iniezione.
Il giorno seguente andò da solo.
Due giorni dopo entrò nel gazebo, con un gran
sorriso sulle labbra: “Ho recuperato l’appetito!” dichiarò con aria trionfante.
“Non mi capitava da anni. Le gambe vanno molto meglio!” Sembrava avere
riacquistato anche il suo abituale buon umore.
Riuscì a completare la terapia. Sfoggiava, adesso,
un aspetto decisamente migliore e un colorito roseo sulle guance, prima sempre
pallide. Aveva perfino smesso di bere. Forse si sarebbe trattato di soli tre o
quattro giorni, ma sarebbe stato comunque un risultato sorprendente.
Dopo l’ultima iniezione confessò titubante: “La
farmacista ha detto che avrei bisogno di altri dieci giorni di trattamento...
ma...”
“Va bene, nessun problema. Ci pensiamo noi.”
“Ma... però...” proseguì con un certo sforzo,
“vorrei aspettare un po’. Ho male dappertutto” aggiunse, riferendosi ai buchi
delle iniezioni sulle natiche. Io e Patrizia ci scambiammo un’occhiata complice.
“Va bene. Sì, effettivamente il liquido è un po’
doloroso. Ci avverta quando decide di ricominciare.”
Apparentemente, quest’occasione propizia non si
presentò. Dopo un po’ avvertimmo la sensazione che la sua dipendenza dall’alcol
stesse prendendo di nuovo il sopravvento.
La sua consapevolezza che bere durante il
trattamento sarebbe stato controproducente era stata sbalorditiva. Aveva
dimostrato forza d’animo e aveva superato la prova una volta, ma sapeva bene
che un ulteriore sacrificio – che sottintendeva un tale impegno – si sarebbe
dimostrato insormontabile. Aveva raggiunto quasi l’impossibile. Ora, aveva il
diritto di andare avanti come meglio credesse.
Quasi ogni giorno, dalla barca alla fonda,
andavamo a terra col dinghy e lo ormeggiavamo al pontile del gazebo. Un paio di
volte la settimana trovavamo Don Chano seduto sul pontile, con le gambe
penzolanti sopra l’acqua, e in mano una lenza e alcuni pezzetti di tortilla per
esca posati accanto a un secchiello pieno d’acqua.
Mentre pescava era più taciturno del solito, forse
perché aveva bisogno di concentrazione. La prima volta che lo vidi pescare un
pesce e metterlo da parte nel secchielletto, fui colto da sorpresa. Pensai che
lo avrebbe rigettato nel fiume, tanto era piccolo. Invece... Ma se quella
moharra sarebbe stata appena sufficiente per il pasto di un gatto! Eppure era
probabile che pescasse per farsi cucinare le sue prede da uno dei molti piccoli
esercizi che si trovano a lato della strada.
La seconda moharra era delle stesse dimensioni: la
mise da parte nel solito recipiente pieno d’acqua, con aria soddisfatta.
C’erano giorni in cui smetteva di pescare dopo la prima, altri dopo la seconda.
Non ci vedevo molto senso, ma mi astenni sempre dal soddisfare la mia curiosità
perché intuivo nel suo comportamento qualcosa di sfuggevole, o meglio di
personale, quasi intimo: del resto, non riuscivo a smettere di domandarmi come
potesse nutrirsi di un pasto tanto frugale.
“Miriam, non dirmi che Don Chano...”
Miriam mi lanciò un’occhiata significativa, come
se un segreto tra lei e Don Chano fosse improvvisamente venuto alla luce.
“So che cosa stai pensando. Che sia un omaggio di
Don Chano. Ebbene... hai indovinato... lo è. Di tanto in tanto porta un
pesciolino vivo a Bunghy. Sai, lei non mangia pesci morti! A lui non piace
molto il pesce, così quando pesca, pesca per lei.”
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