QUEL MURO DI TROIA (seconda parte) – Hidelberg, Germania
Alla volta di Hidelberg. Ci riceverà il Dr. Shaeffer?
Perplessità del cattedratico. Una
persona autentica? Un problema potenzialmente spinoso per l’archeologia. Integrità,
modestia e semplicità. La miglior “difesa” è sempre l'attacco.
Concluso il lavoro al Moevenpick di Francoforte (Storia N° 9), appena
si presentò l’occasione, ci dirigemmo verso il sud della Germania e arrivammo a
Heidelberg, nella speranza di ottenere un appuntamento con il dr. Schaeffer.
Alla vista della Facoltà di Archeologia, parcheggiammo l’autocaravan e ci avvicinammo
a piedi. Davanti al grande cancello chiuso del cortile, sentii il cuore
accelerare il battito.
Affascinato, afferrai le sbarre di metallo con entrambe
le mani: ben visibili dall’altro lato c’erano decine, forse centinaia di copie
di marmo di capolavori greci e romani, alcuni dei quali noti perfino ai non
specialisti. Quello spettacolo, inaspettato e promettente, doveva riaffiorare
nella memoria per anni a venire.
“Questa sì che è una cosa seria!” esclamò Patrizia,
togliendomi l’osservazione di bocca.
“Qui abbiamo qualche speranza di parlare con gente
competente, sempre che ci ricevano. Dubito, comunque, che riusciremo a parlare
con il dr. Schaeffer... ”
Sorprendentemente, dopo aver manifestato alla segretaria
lo scopo generale della nostra visita, Herr Schaeffer ci ricevette subito e ci
fece sedere alla scrivania, io di lato e Patrizia davanti a lui.
Dopo avergli dato delle informazioni preliminari sulla
mia ricerca a Troia, misi sul tavolo le fotografie del muro, l’abbozzo di mappa
che io stesso avevo tracciato, e, in questa, il punto preciso da cui avevo
scattato le foto e i tratti di muro fotografati. I due muri, quello romano e
quello “troiano”, erano chiaramente visibili da ogni angolazione.
Fui contento di osservare che mostrò subito genuino interesse;
misto a perplessità, a dire il vero. Il che mi diceva che aveva capito
immediatamente le implicazioni della scoperta di Patrizia.
Anche se avrei dovuto aspettarmelo da un professore
universitario, fui lo stesso sorpreso nel constatare la rapidità della sua
spiegazione. Sapevo però che era errata, anche se acuta, perché l’avevo già
presa in considerazione durante la ricerca in loco e l’avevo ritenuta
insostenibile. Adesso era venuto il momento di confutarla davanti a una delle
più stimate autorità mondiali nel campo.
Con molta circospezione e prudenza, lo informai che
quando mi trovavo a Troia avevo preso in considerazione la stessa alternativa,
ma, dopo un’accurata valutazione, avevo finito per confutarla. Per le ragioni
che gli spiegai. Il Professore disse semplicemente: “Lei ha ragione, non può
essere.”
Dopo gli inizi tempestosi all’università di Pisa (si vedastoria # 3 QUEL MURO DI TROIA (primaparte) – Turchia/Italia), adesso mi domandavo: Abbiamo davanti una persona autentica, una di quelle specie rare che
sono abituate ad anteporre la verità a tutto il resto? Era un inizio
promettente: non cercava affatto di negare il problema, cosa che, del resto,
sarebbe stata puerile, ma si impegnava al meglio delle sue possibilità per
capire e trovare una soluzione razionale. Provai una profonda ammirazione.
Che fosse un problema potenzialmente spinoso per
l’archeologia era indubbio. Rifletté per un po’, in verità non molto a lungo,
poi formulò un’altra ipotesi. Ammirai la sua prontezza mentale. Io ci avevo
messo di più, a suo tempo, a formulare a me stesso questa obiezione, ma la cosa
importante era che, come la precedente, non la ritenevo sostenibile. Ero dunque
preparato, anche stavolta, a confutarla davanti al Professore. Fui di nuovo
sorpreso nel constatare la sua integrità, e la modestia e semplicità con le
quali disse di nuovo:
“Lei ha ragione.”
Si rimise a pensare. Stavolta passò molto più tempo, poi
alzò lo sguardo e continuando a fissare nel vuoto, disse sottovoce: “Ma ci deve
pur essere una spiegazione!” e ritornò a immergersi nei suoi pensieri.
Anch’io pensavo: Non
ci sarà una terza spiegazione. Tranne quella di Patrizia! Mi domandavo se
il Professore avrebbe mai ammesso apertamente l’errore. Improbabile, riflettevo. Il comportamento di una persona, e anche
il suo entusiasmo, variano in modo proporzionale alla speranza di risolvere il
problema. Ma è proprio nel momento in cui viene meno la speranza... che si
misura l’integrità della persona!
“Be’” osservò alla fine, “al momento non so darvi una spiegazione.”
Adesso che gettava la spugna, sarei stato in grado di
misurare le sue reazioni al colpo fatale che stavo per inferirgli. Ma dovevo
procedere a passo ridotto, con ordine e metodo. Estrassi dallo zainetto la
mappa di Troia del Doerpfel, un archeologo tedesco di fama mondiale che aveva
assistito Schliemann e in seguito aveva continuato da solo i lavori di scavo a
Troia.
“Vede, Professore, questa è la mappa di Doerpfel... ”
annuì riconoscendola. “E questa è la nostra entrata” gli dissi, mostrandogliela
con l’indice. Ma dove posai l’indice non c’era nessun muro troiano d’ingresso!
La mia intenzione era quella di informarlo di un
particolare che certamente ignorava: quel muro MANCAVA dalla mappa del
Doerpfel! In parole povere, il grande archeologo si era accorto che il muro non
poteva appartenere alla Troia omerica e l’aveva eliminato dalla sua mappa.
Purtroppo, perfino nell’ambito della scienza, questo è più ricorrente di quanto
si creda: ciò che non quadra, che contraddice la teoria generale, si ignora o
addirittura si elimina! E qui avevamo esattamente lo stesso problema: quel muro
poteva compromettere l’identificazione di altre mura ufficialmente ritenute
troiane.
Herr Schaeffer appariva colpito e costernato.
Probabilmente pensava che le cose si erano messe molto male per l’archeologia e
che erano peggiorate dopo l’ultima mia rivelazione. Adesso aveva la prova
tangibile che c’era qualcosa di profondamente errato nell’identificazione di
almeno un muro importante. Però, aveva anche la percezione di un attacco
frontale all’onestà dell’archeologia: di un suo membro, per lo meno, e, per
giunta, tedesco.
La doppia bastonata, però, sembrò anche riportarlo in
vita. Non più, tuttavia, come l’osservatore sincero e obiettivo che era stato
fino ad allora, ma come il cattedratico affermato e ammirato il quale, messo
con le spalle al muro, può scegliere di arrogarsi il diritto di guardare i non
addetti ai lavori dall’alto in basso. Consapevole che dipendeva solo da lui
rifugiarsi in extremis dietro il suo ruolo ufficiale, mentre si alzava in piedi
disse:
“Al momento non so darvi una spiegazione. Però se
consultate il libro di Doerpfel, forse risolvete il problema” il suo tono,
adesso, era quello di commiato del professore, non dell’uomo. Che delusione!
Ho
capito bene?, sentii l’impulso di
dire. Risolvere il problema? Non siamo
noi che dobbiamo risolvere il problema. Per noi, il problema è risolto da due
anni: il muro non è troiano ma medievale. È l’esimio Professore che, in nome
dell’archeologia, deve dimostrare il contrario! Ma questo non era il caso
di dirglielo, dato che lo sapeva benissimo...
In un gesto apparentemente altruistico, ma che a questo
punto non poteva considerarsi altro che un tentativo di liberarsi di un
problema scomodo, ci aprì, “nel nostro interesse”, le porte della biblioteca
della facoltà, dove “avremmo potuto consultare il libro in questione”. Il tono
enfatico e solenne con il quale accompagnò la sua “concessione”, che mi ricordò
molto il detto “la miglior difesa è l'attacco”, fu un’altra volta deludente.
Nella biblioteca, con scarso interesse, scrissi gli estremi dell’unica edizione
esistente del lavoro del Doerpfel, in tedesco, con l’intenzione di consultarla
in una libreria italiana. La trovammo a Torino. Come avevo previsto, non c’era
nessuna spiegazione sul muro in questione.
Due anni dopo, mentre viaggiavamo negli Stati Uniti, mio
fratello mi informò dall’Italia che “gli archeologi tedeschi avevano riaperto
gli scavi a Troia.” Questo non accadeva dal 1936!
Una coincidenza? Senz’altro. Però… da far pensare.
Particolarmente nel caso in cui un tantino di merito fosse da attribuire a quel
lavapentole di Francoforte! Qui è proprio il caso di dire: “Chi può negare che
dietro ogni grande lavapentole, c’è una grande preparatrice di caffè?”
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