giovedì 23 gennaio 2020

CITTADINI DEL MONDO N° 10: Quel muro di Troia (seconda parte) Hidelberg - Germania


QUEL MURO DI TROIA (seconda parte) – Hidelberg, Germania

Alla volta di Hidelberg. Ci riceverà il Dr. Shaeffer? Perplessità del cattedratico. Una persona autentica? Un problema potenzialmente spinoso per l’archeologia. Integrità, modestia e semplicità. La miglior “difesa” è sempre l'attacco.



Concluso il lavoro al Moevenpick di Francoforte (Storia N° 9), appena si presentò l’occasione, ci dirigemmo verso il sud della Germania e arrivammo a Heidelberg, nella speranza di ottenere un appuntamento con il dr. Schaeffer. Alla vista della Facoltà di Archeologia, parcheggiammo l’autocaravan e ci avvicinammo a piedi. Davanti al grande cancello chiuso del cortile, sentii il cuore accelerare il battito.



Affascinato, afferrai le sbarre di metallo con entrambe le mani: ben visibili dall’altro lato c’erano decine, forse centinaia di copie di marmo di capolavori greci e romani, alcuni dei quali noti perfino ai non specialisti. Quello spettacolo, inaspettato e promettente, doveva riaffiorare nella memoria per anni a venire.

“Questa sì che è una cosa seria!” esclamò Patrizia, togliendomi l’osservazione di bocca.

“Qui abbiamo qualche speranza di parlare con gente competente, sempre che ci ricevano. Dubito, comunque, che riusciremo a parlare con il dr. Schaeffer... ”

Sorprendentemente, dopo aver manifestato alla segretaria lo scopo generale della nostra visita, Herr Schaeffer ci ricevette subito e ci fece sedere alla scrivania, io di lato e Patrizia davanti a lui.

Dopo avergli dato delle informazioni preliminari sulla mia ricerca a Troia, misi sul tavolo le fotografie del muro, l’abbozzo di mappa che io stesso avevo tracciato, e, in questa, il punto preciso da cui avevo scattato le foto e i tratti di muro fotografati. I due muri, quello romano e quello “troiano”, erano chiaramente visibili da ogni angolazione.

Fui contento di osservare che mostrò subito genuino interesse; misto a perplessità, a dire il vero. Il che mi diceva che aveva capito immediatamente le implicazioni della scoperta di Patrizia.


Anche se avrei dovuto aspettarmelo da un professore universitario, fui lo stesso sorpreso nel constatare la rapidità della sua spiegazione. Sapevo però che era errata, anche se acuta, perché l’avevo già presa in considerazione durante la ricerca in loco e l’avevo ritenuta insostenibile. Adesso era venuto il momento di confutarla davanti a una delle più stimate autorità mondiali nel campo.

Con molta circospezione e prudenza, lo informai che quando mi trovavo a Troia avevo preso in considerazione la stessa alternativa, ma, dopo un’accurata valutazione, avevo finito per confutarla. Per le ragioni che gli spiegai. Il Professore disse semplicemente: “Lei ha ragione, non può essere.”

Dopo gli inizi tempestosi all’università di Pisa (si vedastoria # 3 QUEL MURO DI TROIA (primaparte) – Turchia/Italia), adesso mi domandavo: Abbiamo davanti una persona autentica, una di quelle specie rare che sono abituate ad anteporre la verità a tutto il resto? Era un inizio promettente: non cercava affatto di negare il problema, cosa che, del resto, sarebbe stata puerile, ma si impegnava al meglio delle sue possibilità per capire e trovare una soluzione razionale. Provai una profonda ammirazione.


Che fosse un problema potenzialmente spinoso per l’archeologia era indubbio. Rifletté per un po’, in verità non molto a lungo, poi formulò un’altra ipotesi. Ammirai la sua prontezza mentale. Io ci avevo messo di più, a suo tempo, a formulare a me stesso questa obiezione, ma la cosa importante era che, come la precedente, non la ritenevo sostenibile. Ero dunque preparato, anche stavolta, a confutarla davanti al Professore. Fui di nuovo sorpreso nel constatare la sua integrità, e la modestia e semplicità con le quali disse di nuovo:

“Lei ha ragione.”

Si rimise a pensare. Stavolta passò molto più tempo, poi alzò lo sguardo e continuando a fissare nel vuoto, disse sottovoce: “Ma ci deve pur essere una spiegazione!” e ritornò a immergersi nei suoi pensieri.


Anch’io pensavo: Non ci sarà una terza spiegazione. Tranne quella di Patrizia! Mi domandavo se il Professore avrebbe mai ammesso apertamente l’errore. Improbabile, riflettevo. Il comportamento di una persona, e anche il suo entusiasmo, variano in modo proporzionale alla speranza di risolvere il problema. Ma è proprio nel momento in cui viene meno la speranza... che si misura l’integrità della persona!

“Be’” osservò alla fine, “al momento non so darvi una spiegazione.”


Adesso che gettava la spugna, sarei stato in grado di misurare le sue reazioni al colpo fatale che stavo per inferirgli. Ma dovevo procedere a passo ridotto, con ordine e metodo. Estrassi dallo zainetto la mappa di Troia del Doerpfel, un archeologo tedesco di fama mondiale che aveva assistito Schliemann e in seguito aveva continuato da solo i lavori di scavo a Troia.

“Vede, Professore, questa è la mappa di Doerpfel... ” annuì riconoscendola. “E questa è la nostra entrata” gli dissi, mostrandogliela con l’indice. Ma dove posai l’indice non c’era nessun muro troiano d’ingresso!

La mia intenzione era quella di informarlo di un particolare che certamente ignorava: quel muro MANCAVA dalla mappa del Doerpfel! In parole povere, il grande archeologo si era accorto che il muro non poteva appartenere alla Troia omerica e l’aveva eliminato dalla sua mappa. Purtroppo, perfino nell’ambito della scienza, questo è più ricorrente di quanto si creda: ciò che non quadra, che contraddice la teoria generale, si ignora o addirittura si elimina! E qui avevamo esattamente lo stesso problema: quel muro poteva compromettere l’identificazione di altre mura ufficialmente ritenute troiane.

Herr Schaeffer appariva colpito e costernato. Probabilmente pensava che le cose si erano messe molto male per l’archeologia e che erano peggiorate dopo l’ultima mia rivelazione. Adesso aveva la prova tangibile che c’era qualcosa di profondamente errato nell’identificazione di almeno un muro importante. Però, aveva anche la percezione di un attacco frontale all’onestà dell’archeologia: di un suo membro, per lo meno, e, per giunta, tedesco.

La doppia bastonata, però, sembrò anche riportarlo in vita. Non più, tuttavia, come l’osservatore sincero e obiettivo che era stato fino ad allora, ma come il cattedratico affermato e ammirato il quale, messo con le spalle al muro, può scegliere di arrogarsi il diritto di guardare i non addetti ai lavori dall’alto in basso. Consapevole che dipendeva solo da lui rifugiarsi in extremis dietro il suo ruolo ufficiale, mentre si alzava in piedi disse:


“Al momento non so darvi una spiegazione. Però se consultate il libro di Doerpfel, forse risolvete il problema” il suo tono, adesso, era quello di commiato del professore, non dell’uomo. Che delusione!

Ho capito bene?, sentii l’impulso di dire. Risolvere il problema? Non siamo noi che dobbiamo risolvere il problema. Per noi, il problema è risolto da due anni: il muro non è troiano ma medievale. È l’esimio Professore che, in nome dell’archeologia, deve dimostrare il contrario! Ma questo non era il caso di dirglielo, dato che lo sapeva benissimo...

In un gesto apparentemente altruistico, ma che a questo punto non poteva considerarsi altro che un tentativo di liberarsi di un problema scomodo, ci aprì, “nel nostro interesse”, le porte della biblioteca della facoltà, dove “avremmo potuto consultare il libro in questione”. Il tono enfatico e solenne con il quale accompagnò la sua “concessione”, che mi ricordò molto il detto “la miglior difesa è l'attacco”, fu un’altra volta deludente. Nella biblioteca, con scarso interesse, scrissi gli estremi dell’unica edizione esistente del lavoro del Doerpfel, in tedesco, con l’intenzione di consultarla in una libreria italiana. La trovammo a Torino. Come avevo previsto, non c’era nessuna spiegazione sul muro in questione.

Due anni dopo, mentre viaggiavamo negli Stati Uniti, mio fratello mi informò dall’Italia che “gli archeologi tedeschi avevano riaperto gli scavi a Troia.” Questo non accadeva dal 1936!

Una coincidenza? Senz’altro. Però… da far pensare. Particolarmente nel caso in cui un tantino di merito fosse da attribuire a quel lavapentole di Francoforte! Qui è proprio il caso di dire: “Chi può negare che dietro ogni grande lavapentole, c’è una grande preparatrice di caffè?”

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