QUEL MURO DI TROIA (seconda parte) – Hidelberg, Germania
Alla volta di Hidelberg. Ci riceverà il Dr. Shaeffer?
Perplessità del cattedratico. Una
persona autentica? Un problema potenzialmente spinoso per l’archeologia. Integrità,
modestia e semplicità. La miglior “difesa” è sempre l'attacco.


“Questa sì che è una cosa seria!” esclamò Patrizia,
togliendomi l’osservazione di bocca.
“Qui abbiamo qualche speranza di parlare con gente
competente, sempre che ci ricevano. Dubito, comunque, che riusciremo a parlare
con il dr. Schaeffer... ”
Sorprendentemente, dopo aver manifestato alla segretaria
lo scopo generale della nostra visita, Herr Schaeffer ci ricevette subito e ci
fece sedere alla scrivania, io di lato e Patrizia davanti a lui.

Fui contento di osservare che mostrò subito genuino interesse;
misto a perplessità, a dire il vero. Il che mi diceva che aveva capito
immediatamente le implicazioni della scoperta di Patrizia.

Con molta circospezione e prudenza, lo informai che
quando mi trovavo a Troia avevo preso in considerazione la stessa alternativa,
ma, dopo un’accurata valutazione, avevo finito per confutarla. Per le ragioni
che gli spiegai. Il Professore disse semplicemente: “Lei ha ragione, non può
essere.”
Dopo gli inizi tempestosi all’università di Pisa (si vedastoria # 3 QUEL MURO DI TROIA (primaparte) – Turchia/Italia), adesso mi domandavo: Abbiamo davanti una persona autentica, una di quelle specie rare che
sono abituate ad anteporre la verità a tutto il resto? Era un inizio
promettente: non cercava affatto di negare il problema, cosa che, del resto,
sarebbe stata puerile, ma si impegnava al meglio delle sue possibilità per
capire e trovare una soluzione razionale. Provai una profonda ammirazione.

“Lei ha ragione.”
Si rimise a pensare. Stavolta passò molto più tempo, poi
alzò lo sguardo e continuando a fissare nel vuoto, disse sottovoce: “Ma ci deve
pur essere una spiegazione!” e ritornò a immergersi nei suoi pensieri.
Anch’io pensavo: Non
ci sarà una terza spiegazione. Tranne quella di Patrizia! Mi domandavo se
il Professore avrebbe mai ammesso apertamente l’errore. Improbabile, riflettevo. Il comportamento di una persona, e anche
il suo entusiasmo, variano in modo proporzionale alla speranza di risolvere il
problema. Ma è proprio nel momento in cui viene meno la speranza... che si
misura l’integrità della persona!
“Be’” osservò alla fine, “al momento non so darvi una spiegazione.”

“Vede, Professore, questa è la mappa di Doerpfel... ”
annuì riconoscendola. “E questa è la nostra entrata” gli dissi, mostrandogliela
con l’indice. Ma dove posai l’indice non c’era nessun muro troiano d’ingresso!
La mia intenzione era quella di informarlo di un
particolare che certamente ignorava: quel muro MANCAVA dalla mappa del
Doerpfel! In parole povere, il grande archeologo si era accorto che il muro non
poteva appartenere alla Troia omerica e l’aveva eliminato dalla sua mappa.
Purtroppo, perfino nell’ambito della scienza, questo è più ricorrente di quanto
si creda: ciò che non quadra, che contraddice la teoria generale, si ignora o
addirittura si elimina! E qui avevamo esattamente lo stesso problema: quel muro
poteva compromettere l’identificazione di altre mura ufficialmente ritenute
troiane.
Herr Schaeffer appariva colpito e costernato.
Probabilmente pensava che le cose si erano messe molto male per l’archeologia e
che erano peggiorate dopo l’ultima mia rivelazione. Adesso aveva la prova
tangibile che c’era qualcosa di profondamente errato nell’identificazione di
almeno un muro importante. Però, aveva anche la percezione di un attacco
frontale all’onestà dell’archeologia: di un suo membro, per lo meno, e, per
giunta, tedesco.
La doppia bastonata, però, sembrò anche riportarlo in
vita. Non più, tuttavia, come l’osservatore sincero e obiettivo che era stato
fino ad allora, ma come il cattedratico affermato e ammirato il quale, messo
con le spalle al muro, può scegliere di arrogarsi il diritto di guardare i non
addetti ai lavori dall’alto in basso. Consapevole che dipendeva solo da lui
rifugiarsi in extremis dietro il suo ruolo ufficiale, mentre si alzava in piedi
disse:

Ho
capito bene?, sentii l’impulso di
dire. Risolvere il problema? Non siamo
noi che dobbiamo risolvere il problema. Per noi, il problema è risolto da due
anni: il muro non è troiano ma medievale. È l’esimio Professore che, in nome
dell’archeologia, deve dimostrare il contrario! Ma questo non era il caso
di dirglielo, dato che lo sapeva benissimo...
In un gesto apparentemente altruistico, ma che a questo
punto non poteva considerarsi altro che un tentativo di liberarsi di un
problema scomodo, ci aprì, “nel nostro interesse”, le porte della biblioteca
della facoltà, dove “avremmo potuto consultare il libro in questione”. Il tono
enfatico e solenne con il quale accompagnò la sua “concessione”, che mi ricordò
molto il detto “la miglior difesa è l'attacco”, fu un’altra volta deludente.
Nella biblioteca, con scarso interesse, scrissi gli estremi dell’unica edizione
esistente del lavoro del Doerpfel, in tedesco, con l’intenzione di consultarla
in una libreria italiana. La trovammo a Torino. Come avevo previsto, non c’era
nessuna spiegazione sul muro in questione.
Due anni dopo, mentre viaggiavamo negli Stati Uniti, mio
fratello mi informò dall’Italia che “gli archeologi tedeschi avevano riaperto
gli scavi a Troia.” Questo non accadeva dal 1936!
Una coincidenza? Senz’altro. Però… da far pensare.
Particolarmente nel caso in cui un tantino di merito fosse da attribuire a quel
lavapentole di Francoforte! Qui è proprio il caso di dire: “Chi può negare che
dietro ogni grande lavapentole, c’è una grande preparatrice di caffè?”
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