domenica 12 luglio 2020

PENSIERO-15: L’ESPERIMENTO MILGRAM. PER CAPIRE LE REAZIONI DI UNA GRAN FETTA DELLA POPOLAZIONE ALLE DISPOSIZIONI SUL SARS COV 2 DA PARTE DELL’AUTORITA’ IN QUESTIONE.




L'esperimento di Milgram è un esperimento di psicologia sociale condotto negli anni sessanta dallo psicologo statunitense Stanley Milgram il cui obiettivo era lo studio del comportamento di soggetti ai quali un'autorità, nel caso specifico uno scienziato, ordinasse loro di eseguire delle azioni in conflitto con i loro valori etici e morali... Un argomento di grande attualità, dunque.


NOI, I MOSTRI!

Volete conoscere i meccanismi della irrazionale propensione della maggioranza della società modiale a calpestare le proprie convinzioni etiche e a schierarsi invece a fianco dell’autorità anche quando questa propone o comanda azioni criminali? Leggete di seguito i risultati dell’esperimento Milgram.

Una ricerca sperimentale di enorme portata fu realizzata dal sopracitato Stanley Milgram, del Dipartimento di Psicologia dell’università di Yale nel 1962-63. I suoi sconvolgenti risultati e le conseguenti implicazioni morali, giustificheranno le mie lunghe citazioni dal suo libro Obedience to Authority, che raccoglie e commenta i dati di quell’esperimento senza precedenti.

"Ho messo a punto un semplice esperimento alla Yale University. Alla fine, l'esperimento coinvolgerà più di mille partecipanti e fu ripetuto in diverse università, ma all'inizio, il concetto era semplice. Una persona si presenta a un laboratorio di psicologia e le viene detto di effettuare una serie di decisioni che entrano sempre più in conflitto con la sua coscienza. L’obiettivo dell’esperimento era vedere fino a che punto il partecipante rispettasse le istruzioni dello sperimentatore prima di rifiutarsi di eseguire le azioni da lui richieste.” (pag. 5, PDF).

"Ma il lettore deve conoscere qualche particolare in più sull’esperimento. Due persone si presentano a un laboratorio di psicologia per prendere parte a uno studio sulla memoria e sull'apprendimento. Uno di loro è designato come "l’insegante" e l'altro come “studente". Lo sperimentatore spiega che lo studio riguarda gli effetti della punizione sull'apprendimento. Lo studente è condotto in una stanza, fatto sedere su una sedia, con le braccia legate per impedire spostamenti eccessivi, e gli viene messo al polso un elettrodo. Gli viene detto che deve imparare una lista di coppie di parole; ogni volta che commette un errore, riceverà una scossa elettrica di intensità crescente.” (pag. 5).

“Il vero obiettivo di questo esperimento è L’INSEGNANTE. Dopo aver visto che lo studente è stato legato al suo posto, è portato nella sala principale dell’esperimento e fatto sedere davanti a un impressionante generatore di shock. La sua caratteristica principale è una linea orizzontale di trenta interruttori, che vanno da 15 volt a 450 volt, con incrementi di I5 volt. Ci sono anche delle scritte che vanno da SHOCK LEGGERO, a PERICOLO, a FORTE SHOCK. All’”insegnante” viene detto che è lui l’incaricato di dare il test di apprendimento alla persona nell'altra stanza. Quando lo “studente” risponde correttamente, l'insegnante passa alla fase successiva; quando dà una risposta sbagliata, l'insegnante gli somministra una scossa elettrica. Egli deve iniziare al livello di shock più basso (15 volt) e aumentare il livello ogni volta che lo studente commette un un errore, passando a 30 volt, 45 volt, e così via.

 

"L’insegnante" è un individuo che è venuto al laboratorio per partecipare a un esperimento (con una paga di 4.50 $ per un’ora di lavoro. Lo “studente”, o vittima, è un attore che non riceve in realtà nessuna scossa. L’obiettivo dell’esperimento è quello di vedere fino a che punto una persona può andare avanti, in una situazione concreta e misurabile in cui gli venga ordinato di infliggere un dolore progressivamente crescente a una vittima che protesta. A che punto l’insegnante rifiuterà di obbedire allo sperimentatore?” (Ibid, pag. 5)

“Il conflitto nasce quando l'uomo che riceve la scossa comincia ad indicare che sta provando dolore. A 75 volt, lo “studente” incomincia a brontolare. A 120 volt si lamenta verbalmente; a 150 esige di essere svincolato dall'esperimento. Le sue proteste aumentano in proporzione all’aumentare degli shock, diventando sempre più veementi ed emotive. A 285 volt la sua risposta può essere descritta come l’urlo di un agonizzante.” (Ibid, pag. 5).

"Gli osservatori concordano sul fatto che la qualità dell’esperimento si perde un pò nella pagina scritta. Per il soggetto, la situazione non è affatto un gioco; il conflitto è intenso e reale. Da un lato, la sofferenza manifesta dello “studente” lo spinge a terminare l’esperimento. Dall’altro, lo sperimentatore, una legittima autorità con la quale il soggetto si sente legato da un impegno, gli ingiunge di continuare. Ogni volta che il soggetto esita ad amministrare lo shock, lo sperimentatore gli ordina di continuare. Per districarsi dalla situazione, il soggetto deve arrivare ad una rottura inequivocabile con l’autorità. Lo scopo di questa indagine è di scoprire come e fino a che punto la gente arrivi a sfidare l'autorità davanti a un chiaro imperativo morale.” (enfasi mia, pag. 6).



"Ciò che sorprende è fino a che punto individui normali aderiscano alle

istruzioni dello sperimentatore. Infatti, i risultati dell'esperimento sono sorprendenti e sconcertanti. Nonostante il fatto che molti soggetti provino stress, nonostante il fatto che molti protestino con lo sperimentatore, un sostanziale numero di loro procedette fino a somministrare la scossa massima.” (enfasi mia, ibid, p. 6).

"Dei 40 soggetti, 26 (65%) ubbidirono agli ordini del sperimentatore fino alla fine, procedendo a punire la vittima fino a raggiungere la scossa più potente disponibile sul generatore.” (Ibid, p. 21)

Prima di realizzare gli esperimenti, Milgram chiese ad alcuni colleghi psichiatri di fare una previsione dei risultati. Gli psichiatri pensavano che la magggioranza dei soggetti avrebbe abbandonato l’esperimento alla prima lamentela da parte dello “studente”, che circa il 4% avrebbe raggiunto il livello in cui veniva simulata la perdita dei sensi e che solo qualche caso patologico, uno su mille, sarebbe arrivato al massimo. Queste previsioni, come abbiamo visto, furono del tutto erronee: dei quaranta soggetti del primo esperimento, 25 arrivarono fino alla fine (65 % del totale). D’altra parte, circa il 90% dei partecipanti arrivò a far perdere i sensi allo “studente”.

“Questa è, forse, la lezione più importante del nostro studio: persone comuni, che fanno semplicemente il loro lavoro, e senza particolari ostilità verso lo “studente”, possono diventare gli agenti di un terribile processo distruttivo. Inoltre, anche quando gli effetti distruttivi del loro lavoro diventano palesemente chiari, e viene chiesto loro di compiere azioni incompatibili con le norme fondamentali della loro morale, relativamente pochi posseggono le risorse necessarie per resistere all’autorità. Qui entra in gioco una gamma di inibizioni davanti al disobbedire all’autori, che riesceono a mantenere le persone al loro posto.” (ibid, p. 7).

“Che cosa, allora, fa sí che una persona continui a obbedire allo sperimentatore?” (ibid, p. 7).

“L’adattamento più comune del pensiero del soggetto obbediente è di vedere se stesso come non responsabile delle proprie azioni (sic!, come ogni soldato in guerra, n.d.A). Egli si spoglia di ogni responsabilità attribuendo tutta l’iniziativa allo sperimentatore, un'autorità legittima. Vede se stesso non come una persona che agisce in maniera moralmente responsabile, ma come agente di un’autorità esterna.” (ibid, p. 8)

"La valutazione dei risultati in laboratorio è per questo autore inquietante. Essi sollevano la possibilità che la natura umana, o-più specificamente, il tipo di carattere prodotto nella società democratica americana, non è affidabile per isolare i suoi cittadini da brutalità e trattamenti disumani da parte di autorità malvage. Un numero considerevole di persone fa quello che viene loro detto di fare, a prescindere dal contenuto dell'atto e senza limitazioni imposte dalla coscienza, fintanto che percepisce che il comando proviene da una legittima autorità.” (ibid, p. 115).

“Qui si rivela la capacità dell'uomo di abbandonare la sua umanità, anzi, l'inevitabilità che lo faccia, nel momento in cui rinuncia alla sua personalità davanti a strutture istituzionali più forti.” (ibid, p. 116).

“Questo, a lungo andare dà alla nostra specie solo una modesta possibilità di sopravvivenza. È ironico che le virtù di fedeltà, disciplina e sacrificio di sé che apprezziamo tanto nell'individuo, siano proprio le caratteristiche che creano distruttive macchine da guerra organizzate e legano gli uomini a sistemi malvagi di autorità.” (ibid, p. 115).

Qual è il problema universale, allora? È l'abdicazione dei principi morali individuali e di conseguenza, l'abdicazione della responsablità, in favore dell’adozione e dell’implementazione dei “principi morali” e del comportamento delle autorità legittime, che, come abbiamo visto, possono comportarsi non solo in modo del tutto immorale, ma altamente criminale (non dimentichiamo mai l’episodio dell’Undici di settembre).

Il noto psicologo Henri Laborit asserisce: “Col passare degli anni, con tutto quello che ho imparato dalla vita, con l’esperienza che ho delle persone e delle cose, ma soprattutto grazie al mio mestiere che mi ha permesso di conoscere l’essenziale di quanto oggi sappiamo sulla biologia dei comportamenti, sono spaventato dagli automatismi che è possibile inculcare nel sistema nervoso di un bambino. (enfasi mia). Dovrà avere, nella vita adulta, un’eccezionale fortuna, per evadere da questa prigione, e chissà se ci riuscirà.” (Ibid.p 32).

Vediamo di chiarire ulteriormente rispondendo alla domanda: “Come siamo arrivati a una società cosí mostruosamente disumana?

Milgram scrive: “Fin dai suoi primi anni, il bambino è esposto alla regolamentazione dei genitori, i quali gli inculcano un senso di rispetto per l'autorità degli adulti, quella società  che gli permetterà la scalata ai gradini più alti della gerarchia.

Le ingiunzioni dei genitori sono anche la fonte degli imperativi morali. Tuttavia, quando un genitore insegna a un bambino di seguire un'ingiunzione morale, in effetti, fa due cose. In primo luogo, presenta uno specifico contenuto etico da seguire. In secondo luogo, il bambino viene addestrato a rispettare le ingiunzioni dell’autorità in sé. Così, quando un genitore dice, ‘Non colpire i bambini più piccoli’ non dà soltanto un ordine, ma due. Il primo riguarda il modo in cui il destinatario del comando deve trattare i bambini più piccoli (il prototipo degli indifesi e innocenti); il secondo riguarda l’implicito imperativo “Ubbidisci!” E cosí, l’origine dei nostri ideali morali è inseparabile dall’inculcare un atteggiamento d’obbedienza (enfasi mia)”. (da Obedience to Authority) di Stanley Milgram, p. 84-85).

“Non appena il bambino emerge dal bozzolo della famiglia, è trasferito dentro un sistema di autorità: la scuola. Qui il bambino impara non solo un curricolo specifico, ma anche il modo di funzionare all’interno di un sistema organizzato. Le sue azioni sono regolate in misura significativa dai suoi insegnanti. A sua volta, sono sottoposte alla disciplina e alle esigenze di un preside. Lo studente prende atto che l’indisciplina non è passivamente accettata dall’autorità, ma causa di severi rimproveri e impara anche che la deferenza è l’unica risposta adeguata ed accettata dall’autorita” (enfasi mia, ibid. p. 85-86).

Sul lavoro, come adolescente o adulto, egli impara che benché sia permessa una certa dose di dissenso, espresso con discrezione, per un funzionamento armonico con i suoi superiori si richiede un atteggiamento di sottomissione. Per quanta libertà nei dettagli sia permessa ad un individuo, si tratta sempre di una situazione in cui il lavoro che deve fare gli è stato incaricato da qualcun altro” (ibid p. 86).

Si potrebbero aggiungere fiumi di parole, ma mi pare di aver detto abbastanza da stimolare una riflessione su noi stessi e il nostro posto nella società, specialmente nel frangente particolare della pandemia; i risultati dell’esperimento spiegano in modo egregio il comportamento di una enorme fetta della popolazione, che altrimenti, per molti, risulterebbe incomprensibile.

L'esperimento di Milgram è ancora valido?

Una recente ricerca condotta in Polonia conferma i risultati di Milgram, ecco qua il breve video:

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