ANDREA IN TELEVISIONE? NON CREDO PROPRIO!” Ivrea,Italia
Tacito
permesso ad Andrea, il nostro cane nato in Australia, di entrare nella nuova
casa di Ivrea. Andrea finisce davvero nella televisione locale. Violazione
della regola aurea.
“Mi sorprendo che tua madre gli abbia permesso di
entrare. Nemmeno una parola, nessun brontolio” osservai.
“Non è stupida. Ha intuito che non aveva alternative.
Fuori il cane dall’appartamento, fuori noi.”
Questa conversazione ebbe luogo un pomeriggio in quella
che da anni, prima della nostra partenza per l’India, era stata la camera di
Patrizia nell’appartamento dei suoi genitori a Ivrea.
Eravamo appena ritornati
dall’Australia con Andrea. Nel corso della giornata passavamo lunghi periodi in
appartamento, al quinto piano di un condominio, ma di notte dormivamo nelle
vicinanze, dentro all’autocaravan che avevamo appena comprato, parcheggiato a
lato della strada. In effetti, da quel momento in avanti, per oltre
trentacinque anni non avremmo mai più dormito nel letto di una casa, se si
eccettuano periodi di due settimane ogni tre/cinque anni quando dai Caraibi
nord occidentali uno di noi, a turno, faceva visita alle famiglie in Italia
(mentre l’altro rimaneva in barca a fare da baby-sitter ai cani).
Un paio d’anni dopo il
nostro arrivo, Carla e Oddone, i genitori di Patrizia, comprarono una grande
casa a due piani su una collina nelle vicinanze di Ivrea, riuscendo a
sorprenderci per la considerazione che avevano mostrato nei nostri confronti
nel corso della ricerca di quell’abitazione. In retrospettiva appare
stupefacente che avessero rinunciato a una villa di loro gradimento,
semplicemente perché il nostro autocaravan, alto tre metri, non passava dal
vecchio portone d’ingresso al cortile, costruito con piloni di pietra e
sovrastato da una specie di portico. Demolirne la parte superiore per far
entrare il veicolo non era un’opzione accettabile, perché avrebbe comportato la
violazione delle Leggi sulle Antichità.
La nuova casa, ubicata in una pittoresca posizione
panoramica, su un poggio con vista sul campanile e sui tetti di un tipico
paesino piemontese adiacente a una collina allungata di carattere morenico,
risultò più attraente della prima anche nell’architettura e nella possibilità
di ristrutturazione. È forse interessante chiarire il perché Oddone e Carla
ritenevano irrinunciabile un cortile di facile accesso al nostro autocaravan.
Consapevoli che non avremmo dormito nella camera di Patrizia in quella stessa
casa, scegliendo in alternativa l’autocaravan, si assicurarono che avremmo
almeno passato la notte dentro la proprietà. In tal modo, presero i classici
due piccioni con una fava: perché non solo fecero entrare in gioco una certa
considerazione nei nostri confronti, ma anche la convenienza personale come
prevenzione contro le chiacchiere dei vicini, nel caso ipotetico che questi
ultimi ci avessero visto dormire nell’autocaravan parcheggiato a lato di una
strada. Questa vicenda dice molto sul mutato atteggiamento psicologico dei
genitori di Patrizia nei nostri confronti, in contrasto con quanto il lettore
sa già dalla prima storia (#1 Sulla
strada – Autunno 1975), raccontata nel precedente volume Il nostro canto libero, in cui si
accenna alla decisione di Oddone di andare a informarsi dalla polizia sul
diritto legale di impedire la partenza di Patrizia per l’India; alla
contrarietà di Carla quando evitò di scendere in strada a dare un’occhiata al
furgone; e all’atteggiamento apertamente ostile di suo fratello Giorgio durante
la fatidica conversazione, prima della partenza per Sarzana.
Come in precedenza nell’appartamento, anche nella nuova
casa fu tacitamente permesso ad Andrea di entrare. Carla, che non aveva mai
consentito a nessun animale di varcare la soglia di casa, non mostrò mai
apertamente ostilità verso Andrea, un cane che – bisogna riconoscerlo –
ostentava una tale rara combinazione di gioia di vivere, educazione e rispetto
da conquistarsi affetto e stima in ogni ambiente sociale.
Ricordo che un giorno, appena dopo pranzo al momento del
caffè, Carla, probabilmente continuando ad alta voce una conversazione
silenziosa con se stessa, di punto in bianco disse, riferendosi ad Andrea: “È
certamente un cane intelligente. Ma non è il solo cane intelligente qui
intorno!”
Patrizia mi lanciò un’occhiata. Quello non era lo stile
di sua madre. A me sorprese anche rilevare una certa gelosia nel tono della sua
voce; altri parenti provavano tanto piacere ad avere Andrea in casa loro, da
considerarlo come un membro della famiglia.
“Sono d’accordo con te” dissi. “Forse il settanta per
cento dei cani è altrettanto intelligente. Alcuni anche di più. Se mi permetti,
però, una differenza può risiedere nel fatto che lo abbiamo addestrato con il
fine specifico di sviluppare i sui talenti naturali o, se vogliamo, le sue
facoltà cerebrali. E questo addestramento lo ha portato a eseguire una notevole
quantità di esercizi.”
Devo ammettere che a questo punto mi lasciai scappare un
giudizio personale che avrei fatto meglio a tacere: “E quando dico una notevole
quantità di esercizi, intendo che da solo è in grado di eseguire più trucchi di tutti i cani delle serie
televisive messi insieme!” me ne pentii subito. Ma era troppo tardi.
“Questo non lo credo proprio” replicò Carla, che aveva un
rispetto molto vicino alla venerazione per qualsiasi forma di autorità.
“Forse perché, come la maggior parte della gente, ignori
un fatto molto semplice: che i cani delle famose serie televisive, come Lassie
o Rin Tin Tin, non sono un solo cane.
Possono essere anche venti cani della stessa razza, identici, ciascuno
specializzato in quattro/cinque trucchi. Così gli spettatori vengono ingannati
a credere che sia un solo cane a eseguire un centinaio di esercizi. Immagina il
calo di interesse della sceneggiata se i telespettatori fossero al corrente di
questo particolare!”
Poi, in una fervida perorazione della mia causa aggiunsi:
“Questa differenza è tanto marcata che credo non sfuggirebbe a un buon addestratore
di cani e, ancora di più, susciterebbe l’interesse di una troupe televisiva.”
Pensai che la conversazione sarebbe finita lì, come
accadeva spesso in questi casi.
Invece fui sorpreso di udire Carla aggiungere: “Non lo
credo proprio!”
“Che cosa non credi?”
“Non credo che la gente della televisione si
sorprenderebbe e, di conseguenza, si interesserebbe a lui.”
A questo punto, commisi un altro errore. Mentre avrei
dovuto terminare la conversazione dicendo “Questa
è la tua opinione e la rispetto, però non mi fa cambiare parere”, punto
nell’orgoglio e desideroso di dimostrarle che la realtà era proprio quella che
le avevo descritto, dissi invece: “Ho smesso di fargli fare qualsiasi esercizio
mesi fa. Andrea, al momento, ne ricorda probabilmente solo il trenta per cento.
Mi prendo tre pomeriggi per riaddestrarlo e giudicherai tu stessa se la gente
della televisione locale si interesserà o meno a lui.”
Carla rimase scettica.
Dopo tre giorni avevo già recuperato una buona parte
degli esercizi. Il quarto giorno, nel pomeriggio, andai con Patrizia agli studi
televisivi di Ivrea con Andrea e con i giornali australiani che avevano scritto
su di lui.
Come era prevedibile, Andrea non impiegò molto tempo a
risvegliare l’interesse del direttore e dei due cameramen, i quali
incominciarono a giocare con lui con l’entusiasmo di bambini di fronte a un
nuovo giocattolo. La curiosità e l’eccitazione di vedere quello che sapeva fare
li spinse a protrarre il gioco per una lunga ora.
Alla fine, senza curarsi di mascherare la sua
eccitazione, il direttore esclamò: “Non ci posso credere! Dobbiamo fare un
programma... Dai, perché non lo facciamo subito! Preparate le luci e le
telecamere” ordinò con entusiasmo, rivolgendosi ai cameramen.
“Aspetti un momento” intervenni. “Comprendo il suo zelo,
ma forse Lei non si rende conto che l’attenzione di un cane è di solito
limitata a cinque/dieci minuti. Avete fatto giocare Andrea per circa un’ora. È
stanco. Non è opportuno filmare adesso. Perché non rimandiamo a domani?”
Il direttore non volle sentire ragioni: impaziente
com’era di fare il programma, non si accorgeva che stava permettendo alle sue
emozioni di prendere il sopravvento sulle facoltà razionali. Non mi piacque
quello che aggiunse, e nemmeno a Patrizia:
“Sono sicuro che questo cane ce la può fare
tranquillamente. È l’Einstein dei cani. Filmiamolo adesso!”
Io e Patrizia ci scambiammo un’occhiata d’intesa e, quasi
contemporaneamente, facemmo un piccolo gesto di disappunto, che si mutò poco
dopo in rassegnazione.
Era evidente che la cocciutaggine del direttore era
alimentata dal timore che, per qualche ragione, il giorno seguente non ci
saremmo fatti vivi: non voleva correre rischi. Io e Patrizia, d’altro canto,
sapevamo in anticipo che non sarebbe stato il migliore degli show da mostrare
ai telespettatori. Ma che fare?
Con cura vennero sistemati i riflettori di fronte al sofà
sul quale ero seduto, che producevano un tale calore da farmi sudare
copiosamente; il direttore incominciò così l’intervista, prima di far entrare
Patrizia con Andrea al guinzaglio, da una porta nel retro dello studio.
“Ci dica un po’ chi è questo Andrea. Suo figlio, forse?”
“Proprio così. Un figlio un po’ particolare, però, come
direbbe qualsiasi genitore in un caso del genere. Pensi che è nato con due
gambe in più. E anche con una coda.”
Seguirono poi delle domande sul tipo di razza, su dove lo
avevamo acquistato, sulle ragioni del suo addestramento, e sugli articoli dei
giornali australiani. Dopo di che furono filmati due di questi articoli da
sopra un leggio su cui erano stati preparati in precedenza, zoomando su alcune
fotografie. Fra l’altro, l’intervistatore spiegò alcuni particolari
dell’immagine più grande, che occupava tutta la prima pagina di un giornale,
nella quale Andrea rispondeva con la zampa sinistra “no” alla mia offerta di un
mezzo limone, e di altre foto nelle quali rispondeva “sì” con la destra
all’offerta di un biscotto. Alla fine dell’intervista, Patrizia entrò con
Andrea al guinzaglio, che gli tolse appena furono vicini al divano. Guardandoli,
pensai: Andrea al guinzaglio? Una vista
davvero rara!
Patrizia si accomodò sul sofà alla mia destra mentre
Andrea, a cui avevo detto di sedere sul pavimento ai miei piedi, stanco e
assonnato com’era saltò su quello alla mia sinistra, allungò le zampe, mise la
testa sopra il bracciolo ed emise un udibile sospiro come per dire: Finalmente un bel posticino soffice per fare
un pisolino. Ci voleva proprio!
“Andrea, Andrea, per favore, scendi giù, ecco un
biscotto” Andrea poteva anche essere stanco e assonnato, ma io sapevo che non
avrebbe resistito all’offerta di uno dei suoi biscotti preferiti.
Aprì un occhio, sgranocchiò il biscotto e si mise a
sedere sul pavimento.
Quando ebbe finito, cominciai a offrirgli cibi diversi:
frutta, alcol, sigarette, ecc., affinché risponsesse “sì” o “no” con la zampa
sulla mia mano, a seconda che gradisse o meno ciò che gli veniva offerto.
Questo lo eseguì bene. Poi lo feci contare. Commise un
errore: non era abbastanza concentrato e non si fermò, come avrebbe dovuto, ma
proseguì oltre un numero specifico.
La scelta di dodici oggetti sul pavimento, in due set di
sei, fu perfetta. Fino al momento in cui il diavolo ci mise lo zampino e, per
un motivo che non siamo mai riusciti a spiegare, forse a causa di una
piastrella irregolare del pavimento, uno di quegli oggetti, la palla da tennis,
rotolò via e fui costretto a rimetterla al suo posto. Questa circostanza
insolita dovette aver confuso Andrea perché, subito dopo, commise un errore. Ma
poi si riscattò, disimpegnandosi in modo impeccabile fino alla fine.
Oggettivamente la prova fu, nel complesso, soddisfacente. Però io e Patrizia
sapevamo che era di gran lunga la peggiore in assoluto. Era rarissimo che
Andrea commettesse un errore! Due nella stessa seduta, non era mai accaduto
prima d’allora! Questo, purtroppo, i telespettatori non l’avrebbero mai saputo.
“Ha visto? L’avevo avvertita!” dissi infastidito al
direttore, quando le cineprese smisero di filmare. “Non avremmo dovuto girare
oggi!”
“Non si preoccupi. Lo show è stato un successo. Agli
errori ci penserò io.”
“Non li taglierà via dal film, vero? Non sarebbe
corretto!”
“No, no. Non si preoccupi. Sarà fatto nel modo giusto.
Andate a casa a vederlo tra un’oretta, nel corso del telegiornale.”
Quando vedemmo il replay a casa, insieme ai genitori di
Patrizia, dovemmo ammettere che le nostre preoccupazioni erano state infondate.
Il programma – otto minuti, fin troppi per un servizio di telegiornale – era
completo, errori compresi. Però alla fine le telecamere ritornarono
sull’intervistatore, il quale spiegò ai telespettatori che Andrea era stanco,
come del resto era apparso ovvio nella sequenza del divano, perché il personale
si era divertito a fargli fare esercizi per quasi un’ora, appena prima del
programma. Rassicurò poi i telespettatori che, durante quelle prove, Andrea
aveva eseguito tutti gli esercizi in modo impeccabile.
“Meno male” commentò Patrizia, “informare i
telespettatori era il minimo che potesse fare.”
Lo show fu percepito come un successo. Il telefono
cominciò a squillare. Gli amici chiamarono per congratularsi con noi attraverso
i genitori di Patrizia. Oddone era orgoglioso di aver ricevuto i complimenti
del suo socio, il quale lodò anche il modo con cui io avevo gestito la
situazione. Carla non disse nulla, ma sembrava contenta anche lei, a modo suo.
Il giorno seguente, al mercato, alcune persone,
riconoscendo Andrea, commentarono ad alta voce, altre ci fermarono per
congratularsi.
Tutto sommato si potrebbe osservare che, a partire da una
motivazione inizialmente negativa, perché scaturita da orgoglio e vanità, era
nata una bella storia. Tuttavia, questa non era la mia percezione. Avendo
sempre sostenuto l’importanza di una motivazione disinteressata e trasparente
del mio comportamento, non riuscivo a trascurare il fatto che, in questo caso,
avevo violato quella regola aurea. Nello sfidare Carla, avevo offuscato la
coerenza tra teoria e azione, il più alto valore morale, quello che rende
grande l’uomo. Questo ricordo mi lascia ancora l’amaro in
bocca.
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