Nella prima parte di questo post ho
esposto la mia visione personale, corroborata però
dalla saggezza di secoli, sul rapporto, spesso indirettamente proporzionale,
tra viaggio, motivazione, successo e felicità.
Vediamo adesso qualcosa di più pratico, da dove partire.
E allora dobbiamo dire
che, prima di parlare di felicità, sarebbe
opportuno cominciare subito a sgombrare il sentiero che porta alla felicità almeno dagli errori più comuni. Perché, prima di costruire, bisogna ripulire. Non è
saggio, né pratico, costruire una casa sulle
rovine di una vecchia, come ho già detto nel
post precedente.
A
mio giudizio, il primo errore è di non fare del raggiungimento della felicità la priorità
numero uno.
Secondo
errore: la sistematica imitazione dell’operato altrui, per sentirsi le spalle
coperte dal giudizio generale. Ma chi sono “gli altri”? La stragrande
maggioranza sono caratteri “mistici” che hanno rinunciato a priori alla
possibilità di raggiungere la felicità in questa vita. La visione di un’altra vita
nell’aldilà e il raggiungimento della
felicità su questa terra, sono due concetti incompatibili,
perché, il carattere mistico, negando sia il
corpo che la mente, nega la vita (per chiarire quest’ultimo concetto è
necessario un saggio a parte, già pronto, ma
che dovrà aspettare la sua giusta
collocazione). Proprio per questa ragione, non è il modello più adatto da
seguire (qualora non si possa fare a meno di essere gregari). Come dice il
poeta, non si può raggiungere ciò che non si crede possibile o rimpiangere ciò che non si ha mai avuto.
Terzo errore, il più insidioso, è credere che la felicità sia il risultato dei nostri successi. Di
conseguenza, per arrivare ad essere persone “di successo” si progetta
accuratamente e ci si sforza di fare l’impossibile. La bibbia personale diventa
il principio di prestazione! E qual è il risvolto umano di questa frenesia
irrazionale e contagiosa? Ebbene, se quello che conta è il risultato, sarà meglio diventare una macchina efficiente priva di
emozioni, meglio congelare la vita affettiva. Ed è proprio quello che succede, a lungo andare, a chi mette
il risultato davanti al processo. Dice lo psicologo Mauro Pellegrini: “Se lo
scopo è quello di diventare efficiente e di non perdere l’occasione di essere
come gli altri (produttivo come loro, adeguato allo standard, non contestabile
perché ho svolto il mio lavoro/fatto il mio dovere) il primo ostacolo da
eliminare è proprio il filtro delle emozioni: se non provo niente il dentro
scompare e non devo fare i conti con quello che sento. E se il dentro scompare
posso muovermi come una macchina senza chiedermi cosa provano gli altri che
posso considerare macchine quanto me. La strada verso l’Alessitimia (un
disturbo che lo psicologo Massimo Recalcati definisce un “congelamento
affettivo della vita umana”) passa allora dall’Isotimia: il bisogno di essere
come gli altri, l’ingiunzione che consiglia di adeguarsi e di sviluppare un
falso. Sè superficiale e ben inserito, magari anche “ironico”, bravo a far
notare quanto, in fondo, siamo tutti uguali, piccoli, ridicoli. (dal suo blog
drdedalo).
Ricchezza...
successo... Come controprova basta domandarsi: Se la felicità fosse subordinata al concetto corrente di
“successo”, tutti i ricchi, gli industriali, gli attori, gli artisti, i
primatisti, ecc., non sarebbero felici? Che la maggior parte non lo sia è
invece palese.
Visto come stanno le cose, a me appare ovvio che risieda
addirittura al di là della comprensione di
questa comunità globale il fatto che la
felicità non corrisponda a nessuno di quei
parametri di “successo” che alcuni dei suoi membri si sono illusi di stabilire
come ideale supremo. Cerco di chiarire ulteriormente: quasi tutti i genitori
danno per scontato che la felicità del
bambino vada rapportata al livello raggiunto nella scala gerarchica, che la felicità cioè, dipenda dalla promozione sociale. Curioso,
essi hanno la presunzione di sapere come metterli in condizione di
raggiungerla, pur non avendone avuta, loro stessi, esperienza diretta! E, a
questo punto, a questi genitori, porgo su un piatto d’argento un proverbio
della Nuova Guinea: “Finché non è nella
carne, la conoscenza è solo rumore.”
Ecco perché per tutti
gli arrampicatori sociali, che non cercano di ripetere e perseguire i pochi
momenti di vera gioia che hanno certamente anche se raramente provato nella
vita, e che rifiutano di ammettere a se stessi che questi momenti positivi
erano completamente svincolati dal denaro e dal potere, la felicità è irraggiungibile.
È
chiaro, denaro, posizione sociale e potere possono dare ad un individuo
l’illusione di successo, di sentirsi “qualcuno”. Però,
non è evidente che, se si ha bisogno di appoggiarsi a denaro e potere e
al consenso della scala gerarchica per “sentirsi qualcuno”, ne consegue
naturalmente che l’inconscio individuale, se potesse parlare, ci direbbe che
non siamo proprio nessuno? In tutti questi casi si è sempre in presenza di una
psiche molto fragile. Il denaro e il potere sono quasi sempre una compensazione
della mancanza di qualcosa. E quel qualcosa è puntualmente l’incapacità di capire qual é
l’unico obiettivo della vita che si possa definire un successo, il solo che
valga la pena: il conseguimento di uno stato di gioia e di felicità.
Senza
contare che, come dice Tom Robbins "è lecito chiedersi se il “successo”
sia un risposta adeguata alla vita. Il successo può eliminare tante opzioni di
vita quanto il fallimento. "(da “Even cowgirls get the blues). Sembra
scontato che né il denaro né il successo abbiano alcuna relazione con la
felicità. E allora? Allora ognuno deve decidere se “il salto nel vuoto” con una
promessa concreta di felicità, valga o no la
pena.
PS: Per coerenza con i miei pensieri, che mi impongono di riconoscere e dare
credito a un concetto valido, anche quando viene da una persona che non stimo,
(perché amorale, bugiardo, opportunista,
autoritario nei suoi scritti, per essere buoni) scrivo di seguito una delle
migliori definizioni di felicità che ho trovato e che corrobora la mia
esperienza personale. Si tratta di una frase di Sant’Agostino: “La felicità è
desiderare quello che si ha.” Faccio un’importante modifica “La felicità è
desiderare e godere quello che si
ha.”Vi avevo avvisato che bisognava fare un salto mentale.
Fabrizio Accorsi
Fabrizio Accorsi
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