mercoledì 11 dicembre 2019

CITTADINI DEL MONDO N° 4 Un senzatetto, San Francisco - Usa


UN SENZATETTO, San Francisco, USA

San Francisco. Immaginate di ordinare le foto (che vedete qui e nel post) in una sequenza a spirale, il cui fulcro è costituito da un parcheggio: ecco, a pochi
Washington Square
passi, Washington Square, poi la zona dei murali sulle facciate, la tortuosissima Lombard Street, le caratteristiche case della San Francisco vittoriana, i tram che si arrampicano per la collina in vertiginose rotaie, il Pier 39 che brulica di leoni marini. Tutto a pochi minuti di cammino, ma ci siamo allontanati abbastanza da arrivare in vista del famoso ponte.

Questo posteggio, ha ospitato il nostro autocaravan per i 5 mesi più freddi dell’anno, consentendoci di dormire notti tranquille. Nell’interno del veicolo, ben riscaldato, abbiamo lasciato il nostro Andrea durante le ore lavorative.

La zona dei murales
Ogni mattina, prima delle 11, percorrevamo a piedi il tragitto che separa il posteggio dal ristorante in cui avevamo trovato lavoro come camerieri, a 10 minuti di cammino. E, per arrivarci, attraversavamo il prato di Washington Square, gremito di orientali di ogni età, ognuno concentrato su se stesso, sui propri lentissimi movimenti di Tai Chi, eppure dando origine a una danza coreografica corale che coinvolgeva i passanti a tal punto da farli fermare a contemplare, in muta ammirazione, più che degli esseri umani, l’indistinta sensazione del fermarsi del tempo.


Il Tai Chi mattutino
Ma, quel parcheggio è legato soprattutto al ricordo di una persona speciale, anche lui fuori del tempo. Ed è a questa persona che dedichiamo la storia intitolata “Un senzatetto”  
Fabrizio Accorsi 
 


 

 


La tortuosissima Lombard Street
Un parcheggio non inclinato nell’area di North Beach a San Francisco è una rarità. Di conseguenza, quando ne trovammo uno a livello, a lato di Columbus Street, esultammo come se avessimo visto cadere la manna dal cielo e decidemmo di approfittare dell’occasione. Non si tratta di un’esagerazione. Gli scettici devono capire che non è divertente dormire in un autocaravan inclinato quindici-venti gradi!

Il nostro autocaravan

Dopo aver pagato la quota mensile attraverso una cassetta postale nell’ufficio centrale di San Francisco, ci fu comunicato che ci era stato assegnato il terzultimo posto macchina nell’area del parcheggio più lontana da Columbus Street, riparata dalla fredda brezza marina invernale, da un lato da un muro perimetrico e, dall’altro, dalla parete priva di finestre di un edificio a due piani. Su quest’ultima, c’erano due graffiti di ignoti: due disegni che raffiguravano lo stesso musicista, a grandezza naturale, magistralmente eseguiti con una bomboletta di spray nero. 
Le case vittoriane
Nei mesi seguenti, ogni volta che ci passavo davanti per ritornare all’autocaravan o mentre ne uscivo al mattino, mi perdevo in contemplazione; era pur vero che nella stessa zona c’erano facciate di edifici a tre piani completamente ricoperte di eccellenti affreschi. Eppure, questi schizzi veloci rivelavano la mano di un autentico maestro. L’artista aveva trasformato dovunque una sola rapida linea di contorno in un elemento sfumato di funzionale modellatura, che creava l’illusione di figure altamente tridimensionali. Questo effetto prodigioso mi fece inumidire gli occhi dalla gioia, una reazione emotiva innescata da profonda meraviglia e ammirazione, che non provavo da quando mi ero soffermato davanti a uno dei dipinti di Monet, qualche anno addietro.

I caratteristici tram di S.Francisco
La prima volta che entrammo nel posto macchina, non potei fare a meno di notare un paletto di metallo che fuorusciva, come un sottile lunghissimo dito, dalla bianca linea divisoria con l’adiacente posto auto sulla destra e terminava all’altezza del petto.

Una volta parcheggiato adeguatamente l’autocaravan, il paletto si trovava nello stesso lato della porta d’entrata, verso il retro, a meno di cinquanta centimetri dalla parete destra, sotto la finestra della cucina.

Da qualche tempo avevo cominciato a riflettere sulla funzione di quel paletto isolato, di metallo molto spesso e alto meno di un metro e mezzo, con un diametro di circa quindici centimetri, che terminava in una superficie arrotondata simile alla cupola in miniatura di una chiesa.
I leoni marini della baia
 Forse era stato utile a coloro che avevano costruito il parcheggio ma, per qualche ragione incomprensibile, non fu mai rimosso. Adesso non solo era inutile, ma anche un intralcio all’entrata nel posteggio. Però, curiosamente, per qualche misterioso motivo, senz’altro irrazionale, non mi dispiaceva. Mi sembrava altresì che quel particolare rendesse il nostro posto macchina diverso dagli altri, quasi speciale: o, almeno, meno anonimo.

Oltre gli ultimi due posti auto, incollato all’alto muro privo di finestre su cui si trovavano i disegni spray, c’era un’altra caratteristica distintiva del parcheggio, anche quella, apparentemente inutile: un marciapiede molto stretto, poco più di una trentina di centimetri di larghezza, e costruito soltanto in quel lato. Tuttavia, proprio inutile non era. Di tanto in tanto, durante il giorno, faceva da sedile a un senzatetto: un robusto individuo sulla cinquantina, vestito di abiti pesanti, con uno sguardo timido incastonato nei begli occhi azzurri, che uscivano da un viso coperto da una folta barba fluente color ginger. Acceso dalla luce aranciata del sole del mattino, il suo volto mi ricordava i dipinti del Caravaggio.

Quando arrivavamo o partivamo dal parcheggio, lui era sempre seduto sul marciapiede, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e un immancabile tascabile in mano. Un carrello del supermercato, carico di tutti i suoi effetti personali, era costantemente parcheggiato contro il bordo del marciapiede. Ma, prima dell’imbrunire, sia lui sia il carrello se n’erano andati. Non scoprimmo mai dove dormiva la notte, del resto non erano affari nostri. La prima volta che lo vedemmo in piedi, spingere con passo lento il suo carrello, io e Patrizia trasalimmo: avevamo davanti agli occhi un gentile gigante, il Pavarotti dei senzatetto.

Un giorno notai Patrizia avvicinarsi al marciapiede su cui lui era seduto. Dal di fuori dell’autocaravan, dov’ero rimasto, una decina di metri più lontano, riuscivo ancora a sentire la voce di Patrizia che gli diceva:

“Non deve restituirmelo.” Gli aveva appena dato un libro, che lui aveva ricevuto con un timido sorriso, accompagnato da un grazie colmo di meraviglia. Era un gigante riservato, di poche parole. Ma il suo sguardo era dolce.

Da qualche tempo non bazzicava più il parcheggio. E noi ci domandavamo il perché... Che gli fosse successo qualcosa?

Quello era un mattino come tanti altri, solo che avevamo fatto colazione prima del solito. Tutto era deserto. Nel parcheggio non c’erano veicoli oltre al nostro. Anche il “sedile” era vuoto, come accadeva sempre di primo mattino.

Avevo aperto la porta laterale e stavo in piedi sul gradino mobile esterno, quando, un momento prima di scendere sull’asfalto, con la coda dell’occhio, percepii che c’era qualcosa fuori posto. Girai la testa verso il retro dell’autocaravan: in bilico sulla superficie arrotondata della cima del paletto, c’erano tre libri tascabili molto spessi.

“Patrizia, vieni un po’ a vedere. Un tuo ammiratore ti ha lasciato un regalo.”

“Un regalo? Che regalo?” chiese, forse sospettando uno dei miei scherzi.

Da dentro diede un’occhiata in direzione del gradino mobile esterno, che sporgeva all’infuori.

“No, non lì, laggiù!” dissi indicandole il paletto.

“Che carino da parte sua!” osservò Patrizia al momento di sollevare i libri.

Erano circa le sette.

“Strano” commentai, “perché non li ha lasciati sul gradino? Non capisco... Li ha bilanciati sulla cupola del paletto, dove perfino lo spostamento d’aria della portiera di un veicolo avrebbe potuto farli cadere... anche se lui sapeva benissimo che a quest’ora non ci sono altri veicoli che parcheggiano...”

“Dev’essere arrivato all’alba. Sai cosa penso...?”

“E come faccio a saperlo?”

“Voglio dire, sai quale penso sia la ragione che lo ha spinto a usare il paletto anziché il gradino?”

Fu solo a quel punto che credetti di aver capito. Ma non dissi nulla. Forse mi sbagliavo. La ragione era proprio quella che pensavo? In tal caso, si sarebbe trattato di un gesto molto delicato.

Patrizia sembrava seguire la mia stessa linea di pensiero, perché affermò:

“Deve essere venuto prestissimo. Supponendo giustamente che stessimo ancora dormendo, ha preferito mettere i libri sul paletto anziché sul gradino dell’autocaravan, per non correre il rischio di svegliarci!”


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