UN SENZATETTO, San Francisco, USA
San
Francisco. Immaginate di ordinare le foto (che vedete qui e nel post) in una sequenza a
spirale, il cui fulcro è costituito da un parcheggio: ecco, a pochi
passi, Washington Square, poi la zona dei murali sulle facciate, la
tortuosissima Lombard Street, le caratteristiche case della San
Francisco vittoriana, i tram che si arrampicano per la collina in
vertiginose rotaie, il Pier 39 che brulica di leoni marini. Tutto a
pochi minuti di cammino, ma ci siamo allontanati abbastanza da arrivare
in vista del famoso ponte.
Washington Square |
Questo
posteggio, ha ospitato il nostro autocaravan per i 5 mesi più freddi
dell’anno, consentendoci di dormire notti tranquille. Nell’interno del
veicolo, ben riscaldato, abbiamo lasciato il nostro Andrea durante le
ore lavorative.
La zona dei murales |
Ogni
mattina, prima delle 11, percorrevamo a piedi il tragitto che separa il
posteggio dal ristorante in cui avevamo trovato lavoro come camerieri, a
10 minuti di cammino. E, per arrivarci, attraversavamo il prato di
Washington Square, gremito di orientali di ogni età,
ognuno concentrato su se stesso, sui propri lentissimi movimenti di Tai
Chi, eppure dando origine a una danza coreografica corale che
coinvolgeva i passanti a tal punto da farli fermare a contemplare, in
muta ammirazione, più che degli esseri umani, l’indistinta sensazione
del fermarsi del tempo.
Il Tai Chi mattutino |
Ma,
quel parcheggio è legato soprattutto al ricordo di una persona
speciale, anche lui fuori del tempo. Ed è a questa persona che
dedichiamo la storia intitolata “Un senzatetto”
La tortuosissima Lombard Street |
Un parcheggio
non inclinato nell’area di North Beach a San Francisco è una rarità. Di
conseguenza, quando ne trovammo uno a livello, a lato di Columbus Street,
esultammo come se avessimo visto cadere la manna dal cielo e decidemmo di
approfittare dell’occasione. Non si tratta di un’esagerazione. Gli scettici
devono capire che non è divertente dormire in un autocaravan inclinato
quindici-venti gradi!
Il nostro autocaravan |
Dopo aver pagato
la quota mensile attraverso una cassetta postale nell’ufficio centrale di San
Francisco, ci fu comunicato che ci era stato assegnato il terzultimo posto
macchina nell’area del parcheggio più lontana da Columbus Street, riparata
dalla fredda brezza marina invernale, da un lato da un muro perimetrico e,
dall’altro, dalla parete priva di finestre di un edificio a due piani. Su
quest’ultima, c’erano due graffiti di ignoti: due disegni che raffiguravano lo
stesso musicista, a grandezza naturale, magistralmente eseguiti con una
bomboletta di spray nero.
Le case vittoriane |
Nei mesi seguenti, ogni volta che ci passavo davanti
per ritornare all’autocaravan o mentre ne uscivo al mattino, mi perdevo in
contemplazione; era pur vero che nella stessa zona c’erano facciate di edifici
a tre piani completamente ricoperte di eccellenti affreschi. Eppure, questi
schizzi veloci rivelavano la mano di un autentico maestro. L’artista aveva
trasformato dovunque una sola rapida linea di contorno in un elemento sfumato
di funzionale modellatura, che creava l’illusione di figure altamente tridimensionali.
Questo effetto prodigioso mi fece
inumidire gli occhi dalla gioia, una reazione emotiva innescata da profonda meraviglia e
ammirazione, che non provavo da quando mi ero soffermato davanti a uno dei
dipinti di Monet, qualche anno addietro.
I caratteristici tram di S.Francisco |
La prima volta
che entrammo nel posto macchina, non potei fare a meno di notare un paletto di
metallo che fuorusciva, come un sottile lunghissimo dito, dalla bianca linea
divisoria con l’adiacente posto auto sulla destra e terminava all’altezza del
petto.
Una volta
parcheggiato adeguatamente l’autocaravan, il paletto si trovava nello stesso
lato della porta d’entrata, verso il retro, a meno di cinquanta centimetri
dalla parete destra, sotto la finestra della cucina.
Da qualche tempo avevo cominciato a riflettere
sulla funzione di quel paletto isolato, di metallo molto spesso e alto meno di
un metro e mezzo, con un diametro di circa quindici centimetri, che terminava
in una superficie arrotondata simile alla cupola in miniatura di una chiesa.
I leoni marini della baia |
Forse era stato utile a coloro che avevano costruito il parcheggio ma, per
qualche ragione incomprensibile, non fu mai rimosso. Adesso non solo era
inutile, ma anche un intralcio all’entrata nel posteggio. Però, curiosamente,
per qualche misterioso motivo, senz’altro irrazionale, non mi dispiaceva. Mi
sembrava altresì che quel particolare rendesse il nostro posto macchina diverso
dagli altri, quasi speciale: o, almeno, meno anonimo.
Oltre gli ultimi due posti auto, incollato
all’alto muro privo di finestre su cui si trovavano i disegni spray, c’era
un’altra caratteristica distintiva del parcheggio, anche quella, apparentemente
inutile: un marciapiede molto stretto, poco più di una trentina di centimetri
di larghezza, e costruito soltanto in quel lato. Tuttavia, proprio inutile non
era. Di tanto in tanto, durante il giorno, faceva da sedile a un senzatetto: un
robusto individuo sulla cinquantina, vestito di abiti pesanti, con uno sguardo
timido incastonato nei begli occhi azzurri, che uscivano da un viso coperto da
una folta barba fluente color ginger. Acceso dalla luce aranciata del sole del
mattino, il suo volto mi ricordava i dipinti del Caravaggio.
Quando arrivavamo o partivamo dal parcheggio, lui
era sempre seduto sul marciapiede, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e un
immancabile tascabile in mano. Un carrello del supermercato, carico di tutti i
suoi effetti personali, era costantemente parcheggiato contro il bordo del
marciapiede. Ma, prima dell’imbrunire, sia lui sia il carrello se n’erano
andati. Non scoprimmo mai dove dormiva la notte, del resto non erano affari
nostri. La prima volta che lo vedemmo in piedi, spingere con passo lento il suo
carrello, io e Patrizia trasalimmo: avevamo davanti agli occhi un gentile
gigante, il Pavarotti dei senzatetto.
Un giorno notai Patrizia avvicinarsi al
marciapiede su cui lui era seduto. Dal di fuori dell’autocaravan, dov’ero
rimasto, una decina di metri più lontano, riuscivo ancora a sentire la voce di
Patrizia che gli diceva:
“Non deve restituirmelo.” Gli aveva appena dato
un libro, che lui aveva ricevuto con un timido sorriso, accompagnato da un grazie colmo di meraviglia. Era un
gigante riservato, di poche parole. Ma il suo sguardo era dolce.
Da qualche tempo non bazzicava più il parcheggio.
E noi ci domandavamo il perché... Che gli fosse successo qualcosa?
Quello era un mattino come tanti altri, solo che
avevamo fatto colazione prima del solito. Tutto era deserto. Nel parcheggio non
c’erano veicoli oltre al nostro. Anche il “sedile” era vuoto, come accadeva
sempre di primo mattino.
Avevo aperto la porta laterale e stavo in piedi
sul gradino mobile esterno, quando, un momento prima di scendere sull’asfalto,
con la coda dell’occhio, percepii che c’era qualcosa fuori posto. Girai la
testa verso il retro dell’autocaravan: in bilico sulla superficie arrotondata
della cima del paletto, c’erano tre libri tascabili molto spessi.
“Patrizia, vieni un po’ a vedere. Un tuo
ammiratore ti ha lasciato un regalo.”
“Un regalo? Che regalo?” chiese, forse sospettando uno
dei miei scherzi.
Da dentro diede un’occhiata in direzione del gradino
mobile esterno, che sporgeva all’infuori.
“No, non lì, laggiù!” dissi indicandole il paletto.
“Che carino da parte sua!” osservò Patrizia al momento di
sollevare i libri.
Erano circa le sette.
“Strano” commentai, “perché non li ha lasciati
sul gradino? Non capisco... Li ha bilanciati sulla cupola del paletto, dove
perfino lo spostamento d’aria della portiera di un veicolo avrebbe potuto farli
cadere... anche se lui sapeva benissimo che a quest’ora non ci sono altri
veicoli che parcheggiano...”
“Dev’essere arrivato all’alba. Sai cosa
penso...?”
“E come faccio a saperlo?”
“Voglio dire, sai quale penso sia la ragione che
lo ha spinto a usare il paletto anziché il gradino?”
Fu solo a quel punto che credetti di aver capito.
Ma non dissi nulla. Forse mi sbagliavo. La ragione era proprio quella che
pensavo? In tal caso, si sarebbe trattato di un gesto molto delicato.
Patrizia sembrava seguire la mia stessa linea di
pensiero, perché affermò:
“Deve essere venuto prestissimo. Supponendo
giustamente che stessimo ancora dormendo, ha preferito mettere i libri sul
paletto anziché sul gradino dell’autocaravan, per non correre il rischio di
svegliarci!”
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