“VI DISPIACEREBBE... ?” –
Washington State, USA
Il tavolo della dinette era stato concepito per un
duplice uso, come del resto in quasi tutti gli autocaravan: infatti, poteva
essere abbassato di una cinquantina di centimetri, per trasformarsi nella parte
centrale di un comodo letto a due piazze. Un pomeriggio, quando si trovava
nella posizione inferiore, forse da noi sottoposto a una sollecitazione più
severa del solito, all’improvviso lanciò l’urlo tipico del legno ferito a
morte, congelando la nostra azione sul momento. Un’occhiata fu sufficiente a
determinare che fosse danneggiato al di là di ogni speranza di riparazione.
Per arrivare alla piccola area vicino al mare dove al
momento sostavamo, da qualche parte in Oregon, avevamo prima costeggiato una
pittoresca baia lambita da forti correnti e poi eravamo passati davanti a un
grande capannone di falegnameria per barche, sulla riva erbosa di un braccio
d’acqua interno collegato con il mare.
Dopo aver scardinato il tavolo, lo misi da parte; adesso
eravamo pronti per fare un salto in falegnameria.
Appena parcheggiai davanti all’entrata del capannone, il
proprietario, un giovane della nostra età, uscì nel sole dalla penombra del
cantiere e ci venne incontro per salutarci, forse incuriosito dall’insolito
modello dell’autocaravan.
Gli mostrai il tavolo rotto e gli domandai se poteva
tagliare un pezzo di compensato di dimensioni e spessore esattamente uguali.
Lui prese il tavolo, entrò nel capannone e si ripresentò poco dopo. “È
compensato marino” spiegò, “molto più resistente di quello vecchio. Durerà di
più.”
Notai subito che aveva persino arrotondato i due spigoli
esterni e ciò mi predispose favorevolmente nei suoi confronti.
Dalla mia posizione vedevo, alle sue spalle, sollevati su
supporti, lo scafo e una parte del ponte di una bellissima barca a vela di
legno pregiato, nelle ultime fasi di completamento. Altre barche, più lontano,
dentro il cantiere, si trovavano agli stadi iniziali.
“Vi faccio pagare soltanto dieci dollari” disse. “Va
bene?”
“È un prezzo da amico. Grazie. E grazie per aver
arrotondato gli spigoli.”
“Di dove siete?” chiese, incapace di indovinare dal
nostro accento.
“Italiani” istintivamente diede un’occhiata alla “I”
della targa, ben visibile dalla nostra posizione.
“Siamo partiti dalla parte orientale degli USA, vicino a
New York, e da lì abbiamo incominciato il viaggio in questo continente.
L’autocaravan l’avevamo inviato per cargo dalla Germania settentrionale ad
Albany, New York.”
“Vi sarà costato caro!”
“Millecentocinquantaquattro dollari, il prezzo meno caro
dopo una verifica personale in tre Paesi europei.”
“Caro!” osservò.
“Soltanto in apparenza. In considerazione del risparmio
nel prezzo degli alberghi se si viaggia in autocaravan e si evitano i campeggi,
e dell’ulteriore risparmio nella preparazione dei pasti, c’è voluto solo un
mese per ammortizzare quei soldi. Voglio dire, per andare in pari con i costi
di trasporto oceanico dell’autocaravan. Da adesso in poi, per i cinque mesi
seguenti, sarà tutto risparmio.”
“Capisco. È vero… non hai tutti i torti… è un buon
affare.”
“Inoltre, siamo autosufficienti, cosa per noi essenziale.
Bagno con acqua calda. Frigorifero ben funzionante. Stufa e forno per fare il
pane... E, a volte, pizza e dolci. Riscaldamento anche nel bagno. Due comodi
letti… quando non si rompono. E possiamo permetterci di portare con noi molti
libri… Il tutto in soli diciotto piedi (cinque
metri e quaranta centimetri), ma sufficiente per noi e il cane.”
Sembrava affascinato, specialmente in seguito alla
narrazione di quello che avevamo già visto in ventisette dei cinquanta Stati
degli USA.
Nel frattempo, Patrizia aveva aperto la mappa del mondo
sul cofano per mostrargli l’estensione dei nostri viaggi fino a quel punto. Una
spessa linea azzurra cominciava dall’Italia settentrionale e proseguiva fino
all’India. Il nostro amico seguiva con l’indice la linea che attraversava i
Paesi tra le due nazioni. Dal confine indiano proseguiva fino in fondo
all’India, un tratto di considerevole lunghezza. Di lì, superava il mare fino a
Penang in Malesia. La silhouette di una nave mostrava con che tipo di trasporto
avevamo oltrepassato l’oceano indiano. Proseguiva poi fino in fondo alla
Malesia e si fermava a Singapore. Di qui passava di nuovo il mare fino a Perth
in Australia, ma stavolta c’era la sagoma di un aereo. Attraversava poi tutta
l’Australia, da ovest a est, e ritornava indietro fino al centro. Indi la lunga
scia di un aereo sopra gli oceani e sopra le terre, mostrava il temporaneo ritorno
in Italia. La linea proseguiva zigzagando in molti Stati europei. Finalmente
lasciava il vecchio continente. Un aereo ci conduceva ad Albany, nello Stato di
New York, non lontanissimo dal luogo in cui erano sbarcati i primi pellegrini.
A questo punto, Patrizia mise sul cofano una carta
geografica molto più dettagliata, quella degli Stati Uniti. La linea blu
serpeggiava dal Quebec alle cascate del Niagara, dall’Illinois al Wyoming, dal
North al South Dakota, ecc., ecc., fino a Vancouver e, più a sud, all’Oregon.
Lo informammo della nostra intenzione di arrivare a San Francisco e di lì,
attraverso tutti i Parchi Nazionali, fino alla spettacolare Mesa Verde. Una
volta scaduto il Visto, saremo andati sei mesi in Baja California in Messico,
per ritornare poi negli Usa altri sei mesi. Di lì saremo partiti per un viaggio
di quattro anni alla volta di Panama, visitando tutto ciò che ci rimaneva del
Messico e il Centro America. Questo, a grandissime linee.
“Conoscete gli USA molto meglio di molti Americani… Meglio
di me, sicuramente…” commentò, ripetendo, senza saperlo, un’osservazione che ci
avevano già fatto decine di americani.
“Non passerà molto che mi costruirò una barca a vela di
legno e viaggerò anch’io intorno al mondo.” Adesso era il nostro turno di rimanere
a bocca aperta.
“Temerario” esclamai, “questa sì che sarà un’avventura!”
Un’ora se n’era andata in un baleno. A un tratto, nel bel
mezzo di un’osservazione, ebbe un attimo di esitazione come se si fosse
ricordato di qualcosa. O come se qualcuno l’avesse chiamato dall’interno del
capannone, come era accaduto mezz’ora prima.
“Scusate, ritorno tra un minuto” disse, avviandosi.
Quando ritornò, incominciò così: “Sapete, dopo tutto
questo tempo… insomma, dopo tutto questo tempo... sento che siamo diventati...
quasi amici. Anzi, mi sembra di conoscervi da sempre… ”
Poi, tenendo fra le dita i dieci dollari che gli avevamo
dato in pagamento e che aveva recuperato dalla falegnameria, pausando quasi
dopo ogni parola, disse: “Vi dispiacerebbe… riprendervi… il vostro denaro?”
Ci guardammo l’un l’altra con stupore. Una cosa così non
ci era mai capitata prima di allora. Però quello che ci colpì di più e sul
quale, una volta soli, avremmo favorevolmente commentato, era il modo in cui
aveva cominciato quella frase: “Vi dispiacerebbe… ” l’esordio di un pensiero
colmo di rispetto e di tatto che veniva dal cuore di una bella persona!
“È davvero gentile da parte tua” dissi. “È un bel regalo,
ne faremo tesoro. E non mancheremo di restituire il favore a qualcun altro,
alla prima occasione, qui negli Stati Uniti.”
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