mercoledì 12 febbraio 2020

CITTADINI DEL MONDO N° 12: Vi dispiacerebbe? Washington State,USA



“VI DISPIACEREBBE... ?” – Washington State, USA


Il tavolo della dinette era stato concepito per un duplice uso, come del resto in quasi tutti gli autocaravan: infatti, poteva essere abbassato di una cinquantina di centimetri, per trasformarsi nella parte centrale di un comodo letto a due piazze. Un pomeriggio, quando si trovava nella posizione inferiore, forse da noi sottoposto a una sollecitazione più severa del solito, all’improvviso lanciò l’urlo tipico del legno ferito a morte, congelando la nostra azione sul momento. Un’occhiata fu sufficiente a determinare che fosse danneggiato al di là di ogni speranza di riparazione.


Per arrivare alla piccola area vicino al mare dove al momento sostavamo, da qualche parte in Oregon, avevamo prima costeggiato una pittoresca baia lambita da forti correnti e poi eravamo passati davanti a un grande capannone di falegnameria per barche, sulla riva erbosa di un braccio d’acqua interno collegato con il mare.

Dopo aver scardinato il tavolo, lo misi da parte; adesso eravamo pronti per fare un salto in falegnameria.

Appena parcheggiai davanti all’entrata del capannone, il proprietario, un giovane della nostra età, uscì nel sole dalla penombra del cantiere e ci venne incontro per salutarci, forse incuriosito dall’insolito modello dell’autocaravan.

Gli mostrai il tavolo rotto e gli domandai se poteva tagliare un pezzo di compensato di dimensioni e spessore esattamente uguali. Lui prese il tavolo, entrò nel capannone e si ripresentò poco dopo. “È compensato marino” spiegò, “molto più resistente di quello vecchio. Durerà di più.”

Notai subito che aveva persino arrotondato i due spigoli esterni e ciò mi predispose favorevolmente nei suoi confronti.


Dalla mia posizione vedevo, alle sue spalle, sollevati su supporti, lo scafo e una parte del ponte di una bellissima barca a vela di legno pregiato, nelle ultime fasi di completamento. Altre barche, più lontano, dentro il cantiere, si trovavano agli stadi iniziali.

“Vi faccio pagare soltanto dieci dollari” disse. “Va bene?”

“È un prezzo da amico. Grazie. E grazie per aver arrotondato gli spigoli.”

“Di dove siete?” chiese, incapace di indovinare dal nostro accento.

“Italiani” istintivamente diede un’occhiata alla “I” della targa, ben visibile dalla nostra posizione.

“Siamo partiti dalla parte orientale degli USA, vicino a New York, e da lì abbiamo incominciato il viaggio in questo continente. L’autocaravan l’avevamo inviato per cargo dalla Germania settentrionale ad Albany, New York.”

“Vi sarà costato caro!”

“Millecentocinquantaquattro dollari, il prezzo meno caro dopo una verifica personale in tre Paesi europei.”

“Caro!” osservò.

“Soltanto in apparenza. In considerazione del risparmio nel prezzo degli alberghi se si viaggia in autocaravan e si evitano i campeggi, e dell’ulteriore risparmio nella preparazione dei pasti, c’è voluto solo un mese per ammortizzare quei soldi. Voglio dire, per andare in pari con i costi di trasporto oceanico dell’autocaravan. Da adesso in poi, per i cinque mesi seguenti, sarà tutto risparmio.”

“Capisco. È vero… non hai tutti i torti… è un buon affare.”

“Inoltre, siamo autosufficienti, cosa per noi essenziale. Bagno con acqua calda. Frigorifero ben funzionante. Stufa e forno per fare il pane... E, a volte, pizza e dolci. Riscaldamento anche nel bagno. Due comodi letti… quando non si rompono. E possiamo permetterci di portare con noi molti libri… Il tutto in soli diciotto piedi (cinque metri e quaranta centimetri), ma sufficiente per noi e il cane.”

Sembrava affascinato, specialmente in seguito alla narrazione di quello che avevamo già visto in ventisette dei cinquanta Stati degli USA.


Nel frattempo, Patrizia aveva aperto la mappa del mondo sul cofano per mostrargli l’estensione dei nostri viaggi fino a quel punto. Una spessa linea azzurra cominciava dall’Italia settentrionale e proseguiva fino all’India. Il nostro amico seguiva con l’indice la linea che attraversava i Paesi tra le due nazioni. Dal confine indiano proseguiva fino in fondo all’India, un tratto di considerevole lunghezza. Di lì, superava il mare fino a Penang in Malesia. La silhouette di una nave mostrava con che tipo di trasporto avevamo oltrepassato l’oceano indiano. Proseguiva poi fino in fondo alla Malesia e si fermava a Singapore. Di qui passava di nuovo il mare fino a Perth in Australia, ma stavolta c’era la sagoma di un aereo. Attraversava poi tutta l’Australia, da ovest a est, e ritornava indietro fino al centro. Indi la lunga scia di un aereo sopra gli oceani e sopra le terre, mostrava il temporaneo ritorno in Italia. La linea proseguiva zigzagando in molti Stati europei. Finalmente lasciava il vecchio continente. Un aereo ci conduceva ad Albany, nello Stato di New York, non lontanissimo dal luogo in cui erano sbarcati i primi pellegrini.

A questo punto, Patrizia mise sul cofano una carta geografica molto più dettagliata, quella degli Stati Uniti. La linea blu serpeggiava dal Quebec alle cascate del Niagara, dall’Illinois al Wyoming, dal North al South Dakota, ecc., ecc., fino a Vancouver e, più a sud, all’Oregon. Lo informammo della nostra intenzione di arrivare a San Francisco e di lì, attraverso tutti i Parchi Nazionali, fino alla spettacolare Mesa Verde. Una volta scaduto il Visto, saremo andati sei mesi in Baja California in Messico, per ritornare poi negli Usa altri sei mesi. Di lì saremo partiti per un viaggio di quattro anni alla volta di Panama, visitando tutto ciò che ci rimaneva del Messico e il Centro America. Questo, a grandissime linee.

“Conoscete gli USA molto meglio di molti Americani… Meglio di me, sicuramente…” commentò, ripetendo, senza saperlo, un’osservazione che ci avevano già fatto decine di americani.

“Non passerà molto che mi costruirò una barca a vela di legno e viaggerò anch’io intorno al mondo.” Adesso era il nostro turno di rimanere a bocca aperta.

“Temerario” esclamai, “questa sì che sarà un’avventura!”

Un’ora se n’era andata in un baleno. A un tratto, nel bel mezzo di un’osservazione, ebbe un attimo di esitazione come se si fosse ricordato di qualcosa. O come se qualcuno l’avesse chiamato dall’interno del capannone, come era accaduto mezz’ora prima.

“Scusate, ritorno tra un minuto” disse, avviandosi.

Quando ritornò, incominciò così: “Sapete, dopo tutto questo tempo… insomma, dopo tutto questo tempo... sento che siamo diventati... quasi amici. Anzi, mi sembra di conoscervi da sempre… ”

Poi, tenendo fra le dita i dieci dollari che gli avevamo dato in pagamento e che aveva recuperato dalla falegnameria, pausando quasi dopo ogni parola, disse: “Vi dispiacerebbe… riprendervi… il vostro denaro?”

Ci guardammo l’un l’altra con stupore. Una cosa così non ci era mai capitata prima di allora. Però quello che ci colpì di più e sul quale, una volta soli, avremmo favorevolmente commentato, era il modo in cui aveva cominciato quella frase: “Vi dispiacerebbe… ” l’esordio di un pensiero colmo di rispetto e di tatto che veniva dal cuore di una bella persona!

“È davvero gentile da parte tua” dissi. “È un bel regalo, ne faremo tesoro. E non mancheremo di restituire il favore a qualcun altro, alla prima occasione, qui negli Stati Uniti.”

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