lunedì 11 gennaio 2021

CITTADINI DEL MONDO N° 27: IL PUPO SICILIANO, Mitchell, South Dakota, STATI UNITI

Il museo delle bambole di Mitchell
 

Mitchell, una graziosa cittadina del South Dakota, presenta al viaggiatore tre attrazioni di estremo interesse: il cosiddetto “Palazzo di Granturco”, il Museo delle Bambole e un museo privato che esibisce i dipinti di un unico autore, Oscar Howe.

La prima, normalmente pubblicizzata come L’Unico Palazzo Di Granturco Al Mondo, è una straordinaria costruzione che si erge come omaggio al patrimonio agricolo del South Dakota.

Fu costruita nel 1892, utilizzando la struttura di legno di un castello preesistente che si trovava sulla strada principale di Mitchell, e che aveva la funzione di esibire campioni del fertile suolo del South Dakota per incoraggiare la gente a stabilirsi nella zona.

Le pareti del Palazzo sono ricoperte, sia all’esterno sia all’interno, di mosaici raffiguranti la storia e le leggende della tribù Sioux Crow Creek: ci sono scene di agricoltura e di caccia, donne che lavorano la ceramica, battaglie con le tribù limitrofe.

La caratteristica unica è che ogni “tassello” del mosaico non è altro che una pannocchia intera di granoturco, nei suoi colori naturali: bianco, giallo e lilla. Howe fu il primo artista a disegnare i bozzetti preliminari per i mosaici dal 1948 al 1971. Dal momento che il granoturco è deperibile, i mosaici vengono completamente rifatti ogni anno. Quelli esterni vengono sostituiti e ridisegnati con un nuovo tema.

Per il turista interessato, erano (sono ancora?) disponibili alcune fotografie, sia in cartolina sia in dépliant, le quali mostravano le impalcature e le tecniche impiegate dai restauratori.

Dopo la visita del Palazzo Di Granturco ci incamminammo verso l’autocaravan, parcheggiato tra il Palazzo e il Museo delle Bambole, per mangiare un boccone e bere un cappuccino. Quell’ingegnoso aggeggio per fare il cappuccino, che avevamo comprato in Italia e che non utilizzava elettricità per trasformare il latte in spessa, gustosa schiuma, in un autocaravan o in una barca costituisce un vero lusso. Nel nostro stile di vita, come si recupera l’apprezzamento di quelle piccole cose normalmente date per scontate!

 

Da dentro la dinette, la mia attenzione fu catturata dalle peculiari pareti esterne del vicino Museo Delle Bambole. Suggestivamente ubicato all’interno di un castello completo di mura di pietra, di fossato con ponte levatoio e vetrate colorate, è uno dei più grandi e migliori musei di bambole al mondo. La nostra visita ebbe luogo solo sette anni dopo la sua apertura al pubblico. A quel tempo la collezione comprendeva oltre duemila esemplari, antichi e moderni, alcuni alquanto rari e preziosi, provenienti da centoventicinque Paesi. Esposte in centinaia di vetrine con scene raffiguranti note filastrocche, fiabe, e la vita tipica dei secoli diciotto e diciannove, le bambole sfoggiavano i caratteristici costumi indossati dagli indigeni in feste speciali.

Dopo esserci fermati con rinnovato stupore e ammirazione davanti a ogni accattivante ricostruzione storica, sulla via del ritorno verso la sala d’ingresso, notammo con piacere, in una vetrina d’angolo, un Pupo Siciliano. Imponente, con la sua tipica armatura di metallo, sovrastava in altezza (un metro e venti centimetri) tutti gli altri pezzi. Tuttavia mancava qualcosa: era l’unico esemplare sotto il quale non c’era scritto il Paese d’origine.

“Strano” osservò Patrizia, “chissà perché? È proprio l’unico!”

“Ricordiamoci di farlo presente all’assistente quando ritorneremo nella sala d’entrata.”

Alla fine della visita, ci avvicinammo al bancone della biglietteria, che fungeva anche da rivendita di souvenir, e manifestammo a una paffuta rubiconda signora il nostro apprezzamento per il Museo:

 

“Proprio bello. Un gioiello unico. Una visita obbligata. Tanti bei pezzi da collezione! Una bambola in particolare ci ha incuriosito. Quella là nell’angolo, la più grande. È l’unica sotto la quale manca il nome del Paese d’origine.”

“Avete ragione” disse, con un certo imbarazzo. “Dovete sapere che il proprietario del museo è sempre stato un appassionato di bambole e ne ha acquistato un certo numero durante tutti i suoi viaggi di lavoro all’estero. Quella la comprò a New York da un venditore che gli disse di averla acquistata in Italia. Però lui non ne era sicuro al cento per cento: ecco perché, alla fine ha preferito non mettere il nome. È anche vero che, più di una volta, ha suggerito di sistemare un cartellino sotto la bambola, tipo Si prega chi conosca il Paese di provenienza di questo pezzo, di contattare la ricezione. Per una ragione o per l’altra, però, non l’abbiamo mai fatto.”

“È proprio così” spiegò Patrizia. “È italiana. È una marionetta molto popolare, di lunga tradizione, conosciuta sotto il nome di Pupo Siciliano, che significa Sicilian Puppet, Marionette. Proviene infatti dalla Sicilia, l’isola italiana più a sud di tutte.”

“Un momentino, un momentino” intervenne con un sorriso raggiante, “prendo carta e penna. Vi dispiacerebbe... ?” disse, mettendoci davanti il foglietto.

 

Scrissi tutte le informazioni. La signora incominciò a ripeterle e io la corressi più volte. Quando ritenni che la sua pronuncia fosse comprensibile, esclamai: “Molto bene! Però si ricordi: ‘pupo’ non ‘piupou!’”

Infine, scrisse in un cartoncino: «PUPO SICILIANO» e sotto «Sicily, Italy.»

“Vi ringrazio tanto. Il proprietario ne sarà felice.”

Le mostrammo l’autocaravan italiano attraverso le vetrate e le raccontammo che, due ore prima, avevamo visitato il Palazzo Di Granturco con i meravigliosi mosaici inizialmente eseguiti sui disegni di Howe.

La informammo anche che, altrove, in un paio di musei, avevamo visto numerosi dipinti dello stesso artista, che ci avevano affascinato e che eravamo stati colpiti dalla loro qualità artistica e dalla straordinaria amalgama fra tradizione indigena ed esecuzione formale all’avanguardia: una rarità, a nostro giudizio.

 


“Lo sapete che in città c’è un museo interamente dedicato ai suoi dipinti, disegni preparatori, ecc.?”

“Ne siamo al corrente” asserii. “Sarebbe bello vederli. Però domani è domenica e la guida dice che il museo è chiuso.”

“Sì, purtroppo è chiuso” osservò. “È un peccato, non è vero?”

“Un momentino” disse un istante dopo, come se gli fosse balenata in capo un’idea fresca fresca. Alzò la cornetta: “Hi, Mary, come va? Senti, ho qui una coppia che viaggia per gli USA con il suo autocaravan italiano. Hanno già visitato il Corn Palace e conoscono e apprezzano i dipinti di Howe, che hanno già visto in altri musei. Mi chiedo se… ” non finì la frase, forse l’altra persona la interruppe.

Io e Patrizia seguivamo le sue parole con il fiato sospeso.

Dall’altro capo del filo, l’amica deve aver detto qualcosa come “lo sai che il museo è chiuso la domenica, vero?” perché la nostra signora commentò: “Lo so, lo so.”

E mentre l’altra parlava, la signora annuiva dicendo: “Yes… Yes... Ok… Ok.”

Le sue ultime parole, prima di riattaccare, furono: “Va bene. D’accordo. Grazie.”

“Domani… ” annunciò, piegando il capo da un lato per incontrare il nostro sguardo da sopra gli occhiali, forse curiosa di misurare la nostra reazione. “Domani, alle dieci. Vi aprirà il museo! Buon divertimento. E grazie per il piupou. Voglio dire… pupo.”

“Ah” aggiunse come ripensandoci mentre ci porgeva un biglietto da visita, “se cambiate idea, qui c’è il suo numero telefonico.”

Non potevamo crederci.

“Non abbiamo parole per ringraziarvi. Tutte e due. Siete persone meravigliose. Non si preoccupi, saremo là. Questo appuntamento, per noi, è come se venisse dal Presidente in persona. Senza esagerazione!”

Il mattino dopo, cinque minuti prima delle dieci eravamo in vista del museo. Sulla scalinata esterna, che conduceva all’entrata, c’era una signora che aspettava.

Ricordo ancora l’impressione del mazzo di chiavi tintinnanti quando si accinse ad aprire la porta e la richiuse a chiave dietro di sé.

Per prima cosa aprì la finestra della reception per rischiarare un po’ l’ambiente, poi accese le luci nelle sale. Per due ore ci condusse davanti a ogni dipinto, commentandolo, fornendo informazioni, aneddoti e rispondendo alle nostre domande.

Il museo era gratuito! Alla fine del tour, le chiedemmo se potevamo acquistare alcune piccole riproduzioni dei dipinti di Howe che si trovavano sul bancone della ricezione. Ne comprammo una copia di ciascuna. Mary sembrò contenta.

Anche se non abbiamo tenuto tutti i souvenir acquistati nei nostri viaggi, per quelle riproduzioni su cartoncino abbiamo fatto un’eccezione. Il loro valore emotivo è troppo alto. Il rivederle riattiva emozioni vicine a quelle originali.

Va da sé che entrambi i musei ricevettero da noi una pubblicità notevole: ogni volta che raccontavamo la bellissima storia, americani ed europei ne rimanevano ugualmente colpiti.

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