L'interno della barca di Fabrizio e Patrizia |
Una delle domande più frequenti che ci sono state fatte
nel corso dei nostri viaggi è la seguente: “Come potete vivere per tanto tempo in
uno spazio così ristretto?”
Questa è una domanda a cui spesso bisogna rispondere con
cautela. Infatti, la domanda stessa denota la filosofia di vita e le priorità
di chi la pone e non è saggio né pratico interferire con le filosofie
individuali o la loro mancanza.
Di solito incominciamo con l’osservare che il
comportamento dell’uomo e il suo approccio alla vita e al suo godimento, hanno
una notevole componente di soggettività. E poi aggiungiamo, in tono scherzoso,
che per noi lo spazio in barca è il prodotto finale di un lungo processo di
ampliamento dello spazio, non del contrario. Perché, da quando siamo partiti
dall’Italia, con l’eccezione dell’Australia, non abbiamo mai avuto una casa.
Abbiamo cominciato timidamente con piccoli camper, abbiamo ampliato la
superficie abitabile con l’autocaravan, e ora viaggiamo con una barca a vela di
undici metri, in cui, a paragone, lo spazio disponibile ci appare
smisuratamente grande. Tanto grande che, per sette anni, ci siamo permessi il
lusso di avere tre cani a bordo. E, negli ultimi due, anche un bel gattone. La
gente, normalmente, sorride divertita. Contenti noi...
Studiando la rotta |
Per ampliare le informazioni su noi stessi e la nostra
barca a vela a chi aveva posto la domanda, informavamo che adesso avevamo una
grande area interna, libera dalla solita ingombrante dinette, con un tavolo
che, ripiegandosi contro una parete trasversale, lasciava libero molto spazio;
che avevamo inoltre un grande pozzetto all’aria aperta, coperto da un tendalino
e un dodger, assolutamente necessari nei tropici. Quest’ultimo locale
semiaperto, mentre da un lato funge da naturale armonica continuazione visiva
dell’area interna – perché il pozzetto, molto profondo, ne è appena al di
sopra, consentendo di scendere in cucina attraverso quattro normali scalini –
dall’altro permette una libera vista verso l’esterno. C’è anche un altro piano,
costituito dalla tolda, poco meno di un belvedere panoramico. Si potrebbe
chiedere di più in termini di spazio? Di fronte a tanto entusiasmo, la gente
torna a sorridere divertita!
La preoccupazione di coloro che fanno la domanda, dal
loro punto di vista, è comprensibile. Anche se non lo esprimono apertamente,
quando dicono “io non potrei vivere in uno spazio così ristretto”, in verità
vogliono dire “io non potrei vivere in uno spazio così ristretto con un’altra persona.”
Ed è generalmente vero che, per molti, è difficile vivere gomito a gomito
perfino con il partner.Vicini momentanei |
Visita inaspettata |
Recentemente, tra coloro che hanno chiesto sul problema
dello spazio, c’è stata un’importante eccezione. Una turista che prendeva il
sole su un pontile di Caye Caulker, in Belize, dopo che noi scendemmo nel
dinghy ormeggiato al pontile per scaricarvi la spesa del giorno, ci chiese,
come fa molta gente, dove eravamo diretti.
“In quella macchia turchese laggiù” le dicemmo, indicandole
la nostra barca ancorata nella baia a cinquecento metri di distanza. Quando la
informammo che vivevamo in barca da vent’anni spostandoci a vela nelle acque
caraibiche, lei non ci pose nessuna domanda sulla ristrettezza dello spazio.
Invece osservò: “Voi due dovete avere un rapporto molto speciale!”, mostrando
un’onestà e una consapevolezza del problema reale molto superiore alla media.
La sua osservazione sottintendeva la difficoltà di un prolungato rapporto di
coppia in un luogo ristretto da cui non si può fuggire e dove ogni divergenza
va affrontata con la comunicazione appena si presenta. Espresso con la saggezza
antica: «I matrimoni sono tutti felici. È il fare colazione insieme che causa
un sacco di guai!» (Proverbio irlandese).
I pensieri seguenti, dal libro di Laborit, Elogio della Fuga, danno un’idea ben
precisa dei risvolti sociali e psicologici del problema dello spazio:
«L’angoscia era nata dall’impossibilità di agire. Finché
le gambe mi permettono di fuggire, finché le braccia mi permettono di
combattere, finché l’esperienza che ho del mondo mi permette di sapere che cosa
devo fare e desiderare, niente paura: posso agire. Ma quando il mondo degli
uomini mi costringe a osservare le sue leggi, quando il mio desiderio si
scontra con il mondo dei divieti, quando mi trovo imprigionato, mani e piedi,
dalle catene implacabili dei giudizi e delle culture, allora tremo, gemo e piango.
Spazio, ti ho perduto, e mi rinchiudo in me stesso»[1]. Non sarà che, chi fa la domanda sulla ristrettezza
dello spazio abbia da tempo perduto il suo spazio interiore? Difatti, se si
affronta la questione dello spazio in termini pratici e razionali, ci si
accorge che il problema non è lo spazio in sé. Infatti ci si può domandare: “Se
si vive in una casa o in un appartamento, di che cosa si ha assolutamente
bisogno?”
Certo di un tetto che ci protegga dalle intemperie. Certo di un posto
per dormire, sufficientemente ampio da consentirci di rigirarci senza problemi
in tutte le posizioni. Poi di un posto per riporre i vestiti: un armadio o
qualcosa di simile. Un bagno con doccia e una cucina o un angolo cucina. Si può
avere bisogno di un tavolo per mangiare, per appoggiare un quaderno, un libro,
un computer. Certamente di acqua corrente e di elettricità. Si può anche
sentire il bisogno di spazio all’aperto, come un giardino, che ci connetta
all’ambiente naturale.
Servizio a domicilio |
Ebbene, in una barca a vela, si trova tutto quello che ho
elencato sopra, organizzato in modo pratico e funzionale, senza sprechi. C’è,
inoltre, molto più di un giardino negli spazi aperti che si aprono alla vista
dal pozzetto e perfino dal di dentro, in ogni ancoraggio, attraverso le
numerose finestre. Se c’è una differenza significativa, questa risiede nel
fatto che questo mutevole giardino naturale non lo possediamo: lo proteggiamo e
curiamo con l’ausilio di coloro che sono disposti a collaborare, è vero, ma a
differenza di molti investitori locali e stranieri, non ci passa per la mente
di possederne neanche una piccola parte. Questo, lungi dal costituire uno
svantaggio, risulta invece molto liberatorio. (seguirà presto un
altro post su “adattamento e libertà”).
tutto vero,é sempre questione di punti di vista.Io p.e. ho imparato a rivedere il concetto di "cose possedute"da cui gli spazi .Per patto con la mia metà divido l'anno tra 5 mesi in barca,e 7 a terra ,ma dividendoli tra due due o tre diversi paesi,quindi il problema é:cosa mi porto dietro,cosa mi serve veramente,visto che gli appartementini a terra vengono poi affittati quando noi non ci siamo.Ecco ,questo insegna molto a rifurre,ridurre,e.. star benissimo
RispondiEliminabuin vento