Benché ci fosse
un tempo in cui le acque turchesi del Belize si potevano definire un vero
paradiso per la pesca delle aragoste, il loro numero a poco a poco diminuì nel
corso dei dieci anni che seguirono la nostra prima visita, e adesso erano
relativamente scarse. Molti dei locali, tuttavia, continuavano a guadagnarsi da
vivere proprio vendendo aragoste.
In Belize l’aragosta spinosa è di gran lunga la
più nota delle quattro specie esistenti a causa della sua relativa abbondanza e
importanza commerciale. Molti pescatori dispongono delle trappole nei bassi
fondali, ponendovi dentro come esca della pelle di pollo o di altri animali e
controllando le trappole ogni tre-quattro giorni. Nel sud del Belize, invece, i
pescatori scendono in apnea a una profondità di settanta piedi (circa ventuno
metri). Le aragoste sono in genere catturate con un lungo bastone, che porta un
grande gancio all’estremità, facendo scorrere l’asta sotto il suo ventre molle
e tirandolo a strattoni avanti e indietro per infilarvi l’uncino, cosa più
facile a dirsi che a farsi!
Nel nord del Belize un pescatore può lavorare con
diverse centinaia di trappole e, con una veloce barca a motore, ne può
controllare un centinaio al giorno: quella per l’aragosta, utilizzata dalla
maggior parte dei pescatori del Belize, è un adattamento locale della stessa
impiegata nel Nord Atlantico, nelle acque del New England. L’uso diffuso di
trappole ha comportato la necessità che i pescatori reclamassero per sé e
lavorassero in territori marini fissi.
Nel periodo a cui faccio riferimento, una libbra
(quattrocento cinquantaquattro grammi) di code d’aragosta costava circa sette
dollari americani e cinquanta centesimi nelle cooperative locali, ma era più
cara altrove. Naturalmente, qualora se ne fosse presentata l’occasione, sarebbe
stato più economico acquistare direttamente dai pescatori.
Avevamo ancorato in uno dei canali delle cosiddette Drowned Cayes, cinque miglia a est di Belize City dove ci
eravamo rifugiati per proteggerci da un fronte freddo. Negli ultimi due giorni
di brutto tempo, non avevamo visto passare una sola barca. Ma, improvvisamente, un’imbarcazione a motore comparve nella bocca
del canale, allontanandosi a gran velocità. Prima di sparire
dietro il piccolo capo di mangrovie, però, fece dietro front, imboccò il canale e si diresse a velocità ridotta
verso la nostra barca: a bordo c’erano due neri e un ispano.
“Abbiamo visite” annunciai a Patrizia, la
quale, sentendo il rumore del motore, si era affacciata al boccaporto.
“Buongiorno. Volete comprare delle aragoste?”
“Perché no!” Sarebbe stato un bel cambiamento di
dieta. E del tutto inaspettato. “Quanto la libbra?”
“Cinque dollari americani.”
“Ok, buon
prezzo.”
“Ci consultammo per decidere sulla quantità.
Il
prezzo era ottimo ma, senza frigorifero a bordo, non potevamo comprarne molte.
Avremmo comunque potuto mangiare due aragoste ciascuno per tre pasti
consecutivi. Calcolando grossomodo tre code di aragosta per libbra, ciò voleva
dire circa dodici, cioè quattro libbre.
“Datecene venti
dollari, quattro libre, per favore.”
Si misero subito
tutti e tre di buona lena al lavoro, raccogliendole dal pavimento della barca,
che era tutto un brulichio di corpi e di antenne, e infilandone le code in una
grossa borsa di plastica – tipo supermercato – che noi stessi gli avevamo
allungato.
Mentre le
mettevano dentro, io tenevo il conto ed ebbi l’impressione che Patrizia facesse
la stessa cosa.
Quando
raggiunsero il numero di quindici e non smettevano, le lanciai un’occhiata
d’intesa. Adesso le aragoste erano venti e i nostri amici andavano avanti con
lo stesso ritmo. A trenta, Patrizia mi rimandò un’altra occhiata interrogativa:
“Che cosa fanno?” era la tacita
domanda. “Avranno capito bene?”
A quaranta ero
sul punto di scoppiare a ridere: incontrai di nuovo gli occhi di Patrizia. Nel
frattempo, avevano smesso. Sembravano contenti. Contenti di aver finito? No,
la loro era la tipica
espressione soddisfatta di chi ha appena portato a termine un lavoro ben fatto.
“Venti dollari
americani?” ripetei incredulo.
“Venti dollari.”
Dentro il
lavandino della cucina contammo quarantotto code di aragosta; a conti fatti,
ognuna costava quarantadue centesimi! Per il prezzo di un’aragosta in un
ristorante beliziano, ne avevamo comprate quarantotto!
Ma adesso
dovevamo risolvere un complesso problema logistico: quarantotto aragoste divise
per i tre pasti programmati dava sedici aragoste ogni pasto: otto ciascuno!
“Un po’ troppo
per me” osservò Patrizia.
“Anche per me” concordai.
“Non si guasterebbero se allungassimo a quattro il numero dei pasti?”
“Non se le
cuciniamo tutte subito.”
“Dunque, quarantotto aragoste divise per quattro
pasti fanno dodici aragoste per pasto. Siamo in due, dovremmo perciò mangiarne
sei ciascuno per pasto. Sei a testa a pranzo oggi, sei a cena stasera, sei a
colazione domani mattina e sei a testa a pranzo. Patrizia, sei disposta a fare
questo sacrificio?”
“Molto più ragionevole adesso!” disse Patrizia.
“Sbaglio o ti sei rassegnata subito al
sacrificio?”
“Be’, nella vita non si può sempre averla vinta!”
È sorprendente
constatare come sia facile risolvere simili grattacapi quando se ne è
costretti, in mancanza di una qualsiasi alternativa.
Si sente spesso
dire che un pasto di aragoste aumenta la libido: sarà anche vero, però non ne
sono troppo convinto. Posso solo assicurare che, ventiquattro aragoste in
quattro pasti consecutivi, la libido non la diminuiscono neanche un po’!
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