mercoledì 10 aprile 2019

STORIA # 5 Come un fiore nel deserto, - Bombay, India


   Storia # 5 Come un fiore nel deserto, - Bombay, India


Ecco la seconda storia, tratta sempre dal mio libro "Il nostro canto libero". Come si era detto nel primo racconto, pubblicherò tre storie (delle trentadue che compongono il libro) per accompagnare il lettore nella conoscenza dei miei scritti e della mia visione del mondo. Spero vi piaccia e vi inviti a volerne leggere altre.

Fabrizio Accorsi

Ogni volta che mi capita sotto gli occhi la fotografia di una ragazzina indiana come questa, paffutella e sorridente, per contrasto, si affaccia alla memoria l’immagine inquietante di un’altra bambina, alla quale il sorriso era stato cancellato dagli occhi: una “sepolta viva” dentro la sabbia di Juhu, la bellissima spiaggia di Bombay.




Storia # 5 Come un fiore nel deserto, - Bombay, India

Vi siete mai sentiti soli in mezzo alla folla, senza speranza di fronte a un problema insoluto, il terreno che vi cede sotto i piedi, una stretta allo stomaco che vi squarcia dentro e il cervello in totale confusione?
  Ebbene, io sì. Feci questa esperienza nella stessa spiaggia di Bombay, Juhu, descritta sopra (nella storia #4).
A una cinquantina di metri da dove il giorno prima la sabbia era stata trasformata in raffinate sculture, erano state posate delle cassette rovesciate. Su questi improvvisati tavolini, erano stati sistemati dei premi e del denaro. Un cestino sulla sabbia, invece, conteneva dei cerchietti di legno. Numerose persone ronzavano come api intorno a un alveare, disposte a noleggiare i cerchietti per tentare la sorte. Si vinceva il premio che si riusciva a centrare con un cerchietto lanciato da un paio di metri di distanza: uno specchietto, un sapone, un pettine, una banconota da dieci rupie e altre cose di scarso valore, ciascuna sistemata sopra un basamento di legno di dimensione diversa. L’organizzatore del gioco, di tanto in tanto, per rassicurare i clienti che non c’erano trucchi, metteva un cerchietto intorno a ciascun premio, mostrando che lo stesso era più grande del basamento dell’oggetto da vincere.

Poco più lontano, la manina e l’avambraccio di un bambino, emergendo in verticale dalla sabbia, avvertivano i passanti che una sfortunata creatura era stata sepolta viva. La mano era immobile. Fissai lo sguardo in quella direzione alla ricerca di impercettibili vibrazioni. Quando socchiusi gli occhi, in quel braccio scarno e stretto dalla morsa della sabbia, vidi l’immagine di uno stelo malato che reggeva un piccolo fiore accartocciato su se stesso. I suoi cinque petali sembravano presentire un destino di morte.

Avvicinandomi, notai un fazzoletto coperto da un sottile strato di sabbia bagnata sulla bocca della vittima, sistemato probabilmente per consentire un minimo di respirazione. Poco lontano, spiccava un cartello enorme con molte righe scritte nella lingua locale.

Dietro mia sollecitazione, uno dei presenti ci spiegò che si trattava di una richiesta di elemosine per sostenere una famiglia numerosa, alcuni membri della quale erano malati. Provai una sensazione familiare di pietà, che trapassò ben presto in repulsione.

Ricordo di aver pensato: Che ironia, per tirar fuori dalla miseria e dalla malattia alcuni membri della famiglia, qualcuno ha avuto la brillante idea di mettere un altro membro della stessa famiglia nella condizione ideale per ammalarsi. Che triste logica!

Ma, a volte, il coraggio della disperazione esistenziale arriva al di là di ogni logica...

Nessuno dei presenti sembrava preoccuparsi della sorte di quella creaturina sepolta viva. Chi si trovava là sotto? Era come se non esistesse. Che si abusasse a tal punto di un bambino, costringendolo a rimanere in quella posizione supina per molte ore al giorno, immobile, al buio, senza cibo né acqua, benché difficile a credersi, doveva essere una cosa “normale” in India, uno di quei condizionamenti culturali che passavano inosservati.

Fu allora che pensai che avrei potuto tentare qualcosa. Ne sarebbe valsa la pena anche se fossi riuscito soltanto ad alleviare per un po’ le sofferenze di quel povero esserino innocente.

“Cose del genere mi mandano in bestia. Voglio proprio vedere le reazioni della gente messa di fronte a quello che sto per fare. Sarà una sorpresa anche per te, anche se capirai molto prima degli altri di che cosa si tratta.”

Patrizia mi rivolse uno sguardo curioso.

“Pronta per una piccola avventura?”

“Pericolosa?”

“Affatto… Almeno... immagino di no” aggiunsi, ripensandoci.

Uno dei presenti, al quale chiesi dove potevo farmi fare dei cerchietti di legno simili a quelli che avevamo davanti, si offrì di accompagnarci dal falegname. Ne ordinai una decina, che sarebbero stati pronti il giorno seguente.

“Vuoi organizzare un gioco d’azzardo nella spiaggia? E gli altri come reagiranno?”

“Non ti preoccupare, come hai visto non vengono sempre. Mi preoccuperò di scegliere il giorno propizio. Inoltre, per quello che ho in mente, ho bisogno di un paio d’ore soltanto, forse meno. E sarà sufficiente una sola volta.”

“Non capisco dove vuoi andare a parare con tutto questo. L’unica cosa di cui sono sicura è che non ti interessano i soldi che guadagnerai.”

“Questo mi dice che, dopo meno di sei mesi, mi conosci già abbastanza bene. Adesso dobbiamo comprare della roba da mettere in palio e cambiare dei soldi.”

Il giorno seguente passai a ritirare i cerchietti e comprai delle tavole di legno alte un centimetro da cui ricavare le basi dei premi; tagliai delle forme quadrate di dimensione diversa secondo il valore della ricompensa, appena più piccole dei cerchietti. Il sostegno su cui dovevo concentrare la mia attenzione era quello su cui avrei posizionato il premio di gran lunga più alto, in denaro.

Ma come farsi un’idea statistica delle probabilità dei giocatori di far centro? Purtroppo non c’era altro modo che armarsi di molta pazienza e lanciare i cerchietti verso quella base fino a fare centro.

Impiegai molte ore, in due giorni consecutivi, a completare mille lanci, senza riuscire mai a infilare la base del premio in denaro! A volte mi chiedevo se non avessi esagerato in mio favore, se fosse cioè onesto da parte mia lasciare ai giocatori un margine di vincita così esiguo…

Il giorno seguente, appena ebbi disposto sulla sabbia il “tavolo da gioco” – ovvero delle cassette rovesciate – una piccola folla di curiosi cominciò ad avvicinarsi, silenziosa come passi felpati sulla sabbia. Mi accorsi subito che il premio in denaro aveva catturato l’attenzione generale: in effetti, c’erano Paesi, come l’India, nei quali cento rupie rappresentavano una piccola fortuna. Ed era una somma dieci volte superiore a quella, già alta, offerta dagli altri organizzatori del gioco. Percepii mormorii di meraviglia e incredulità.

Mentre mostravo loro che il cerchietto entrava nella sua base, fui colto da un senso di rimorso. Intanto ci fu un’esitazione generale che mi fece temere che nessuno avrebbe tentato la sorte; invece, qualche istante dopo, un signore di mezza età, con il denaro in mano, fece un timido gesto come a dire che desiderava pagare il noleggio dei cerchietti. Noncurante di tutti gli altri premi minori, più facili da centrare, mirò direttamente alle cento rupie.

Primo lancio: centro!

Fui colto alla sprovvista. Ma, mi ripresi subito, come sollevato da un peso. Volsi lo sguardo verso Patrizia, che sgranò gli occhi per lo stupore e, forse, anche per la preoccupazione. Sia per noi che per i nostri clienti, era arrivato il momento della verità: e molto prima del previsto! Un’evidente atmosfera d’attesa divenne subito palpabile nell’aria. Forse si chiedevano se lo straniero avrebbe davvero onorato la vincita.

Sollevai il biglietto da cento, lo sventolai, toccai la mano al vincitore congratulandomi per la sua abilità e glielo consegnai. Forse nessuno capiva l’inglese, ma in questo caso le parole erano superflue.

Mentre mi accingevo a mettere un’altra banconota da cento sopra la stessa base di legno, si verificò una di quelle cose così divertenti che non si possono più dimenticare per il resto della vita. Almeno dieci persone cominciarono a sventolare in aria le loro rupie nella mia direzione, facendosi largo a spallate e alzando la voce per noleggiare per prime i cerchietti. Sembrava così facile!

“Non c’è da preoccuparsi” dissi, rivolgendomi a Patrizia. “Anzi, sono contento che qualcuno abbia vinto così presto, benché la cosa mi lasci ancora perplesso. Se la matematica non è un’opinione, questa è una circostanza molto vantaggiosa per noi. Come vedi, non ci mancheranno i clienti!”

Il denaro che avevo perso corrispondeva a cinquantaquattro pasti in un ristorante locale! Eppure, furono sufficienti venti minuti per recuperarlo. In meno di un’ora guadagnai l’equivalente netto di cinquanta pasti.

Sul più bello, un diffuso, quasi impercettibile mormorio di voci, si levò dalla folla, che si divise in due come per lasciar passare qualcuno. Davanti a noi, apparvero due poliziotti che, gesticolando, ci ordinarono di smettere. Mi aspettavo qualche problema, magari anche solo un sequestro del materiale, invece, appena tolsi di mezzo tutto senza discutere, se ne andarono come se niente fosse.

“Non è permesso perché è considerato gioco d’azzardo” disse una voce alle mie spalle. Volsi lo sguardo, con una certa meraviglia nel sentir parlare inglese. Alle parole gioco d’azzardo, mi vennero alla mente i baracconi delle fiere italiane dove, probabilmente, chi organizzava quegli stessi giochi d’azzardo doveva possedere un permesso speciale. Forse, anche qui, gli organizzatori dei giorni precedenti avevano un permesso speciale?

Come se mi avesse letto nel pensiero, il tipo proseguì dicendo:

“Però, se volete, posso indicarvi come è possibile, anche per voi, continuare il vostro business.”

Francamente, per ciò che avevo in mente di fare, il denaro che avevo guadagnato era più che sufficiente. Ma la curiosità di sapere come funzionavano le cose in quella parte del pianeta era irresistibile.

“Dimmi come fare.”

“Laggiù c’è una garitta di polizia” disse, indicandola col dito. “Con il piccolo regalo di una rupia al guardiano diurno e una rupia al guardiano notturno, non vi molesterà più nessuno.”

“Una rupia ciascuno?” dissi a Patrizia. “Due rupie al giorno? Non è nemmeno il prezzo di un pasto! Non ho nessuna intenzione di proseguire, ma andiamo a controllare lo stesso se è vero, tanto per divertirci un po’ e imparare qualcosa.”

Il nostro accompagnatore entrò con noi nella garitta, cinquanta metri più lontano. La guardia di turno confermò ogni cosa e io le dissi che ci avrei pensato su.

Ci incamminammo verso il posto in cui avevamo organizzato il gioco, per recuperare le cassette. Da lontano, scorsi di nuovo la manina che usciva dalla sabbia, così mi avvicinai e mi fermai a pochi passi dalla tomba a riflettere sul da farsi.

“È una bambina” mi sussurrò all’orecchio il giovane che ci aveva accompagnati alla garitta.

Nessun diritto per le donne in questi Paesi, fu il primo pensiero che mi attraversò la mente. Ma mi sbagliavo: il sesso, in questo caso, non c’entrava. Come appresi in seguito, in India ci sono famiglie che mutilano sia i bambini sia le bambine, rendendoli zoppi o deformi, perché, fin dalla più tenera età e in seguito per tutta la vita, possano supportare la famiglia col chiedere l’elemosina. Questo è il dramma di una miseria che si crede un’irreversibile conseguenza del Karma. Era paradossale che, il giorno prima, durante le tre ore che avevo passato a osservare sia gli sviluppi del gioco d’azzardo sia la risposta alla sollecitazione di denaro per la famiglia della bambina, nessuno di coloro che avevano gettato via un sacco di soldi nel gioco dei cerchietti, aveva avuto la decenza di gettare un solo centesimo dentro il cestino accanto alla mano della bambina. Mi era stato difficile digerire un boccone così amaro. Ma era stata proprio questa presa di coscienza a suggerirmi l’idea di organizzare il gioco.

Adesso avevo i soldi e tutti erano testimoni di come li avevo guadagnati.


“Qualcuno potrebbe, per favore, chiamare un membro della famiglia?” dissi, rivolgendomi a chi aveva parlato.

Comparve quasi subito un signore anziano, emaciato, col viso infossato e duro simile a una maschera priva di espressione. Adesso, stava in piedi davanti a me. Mentre riflettevo sul fatto che poteva essere il padre, uno zio, o il nonno, abbassai lo sguardo verso il contenitore delle elemosine: era vuoto.

“Quanto porta a casa la bambina ogni giorno?” chiesi. Il nostro accompagnatore tradusse il mio inglese nella lingua locale.

“A volte una rupia, a volte alcuni centesimi... A volte niente” aggiunse, dando un’occhiata al cestino. Non potevo essere sicuro che dicesse la verità.

“Gli dica, per favore, di tirar fuori la bambina dalla sabbia.”

L’anziano non sembrava disposto a farlo.

“Gli dica che se la tira fuori gli darò molti soldi.”

L’anziano rimase riluttante.

Parlottarono.

L’anziano si mosse finalmente verso la piccola mano. Fu estratta dalla sabbia una bambina in uno stato avanzato di denutrizione. Dopo ore di immobilità, stentava a reggersi in piedi. Aveva, anche lei, l’espressione assente di uno zombie.

“Ha bisogno di cibo e medicine” affermai. “Gli dica che gli darò l’equivalente di circa tre mesi del guadagno della bambina, cioè cento rupie. Ma deve promettermi di non farla lavorare per almeno dieci giorni.”

Appena ebbi pronunciato il numero di giorni, mi balenò alla mente che, quasi sicuramente, l’uomo non sapeva contare: era frustrante. Mi avvicinai alla bambina e le tolsi qualche granello di sabbia umida da una guancia. Non ci fu nessuna reazione. Continuava a guardare fisso dinanzi a sé, con lo stesso sguardo: non c’era né interesse né preoccupazione nel suo visino. Né un barlume di sollievo, tanto meno di speranza. Anzi, sembrava purtroppo già al di là della soglia del dolore fisico e dell’angoscia. La precoce rassegnazione ancestrale di fronte a sofferenze più grandi di lei, aveva scatenato le difese protettive del suo sistema. Forse non aveva mai percepito le sue sofferenze come soprusi e io potevo illudermi che, almeno la parte mentale, non dovesse aver sofferto. Ma il risultato era una totale insensibilità sia al mondo interiore sia esterno. Non mi stupii che sembrasse non accorgersi della mia presenza.

Mentre davo al vecchio il denaro, udii mormorare alle mie spalle. Improvvisamente, mi sentii un intruso: troppo fragile e pietoso per una realtà così mostruosamente cristallizzata. Ed ero incapace di aiutare. Angosciato, non potevo rimanere lì un minuto di più. Mentre mi allontanavo, sentii una mano amica prendermi sottobraccio. Era il giovane che mi aveva aiutato con la polizia e la traduzione. Disse, con voce tranquilla:

“Forse capisco perché hai organizzato il gioco. Se era per mandare un messaggio ai giocatori... ebbene... nessuno, tranne me, ha capito perché l’hai fatto. La vita andrà avanti come sempre: nessuno le lascerà un centesimo. Inoltre è la figlia di un intoccabile, la più bassa delle caste indiane. Tu l’hai toccata e, adesso, sei impuro anche tu. Pochi dei presenti comprendono che i tuoi costumi, dalle tue parti, sono diversi dai nostri. In quanto agli altri... non sono così aperti mentalmente… ”

“Credevo che Gandhi avesse abolito il sistema delle caste… tanto tempo fa… ” osservai demoralizzato.

“Solo in teoria. In pratica… Be’… Così è la vita, da queste parti.”

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